giovedì 25 aprile 2013

25 aprile: Storia della mia gente

Sintetizzo con un tweet, perché mai come questa volta 140 caratteri servono a non sprecare inutili parole

#25aprile: da una parte il Bene, dall'altra il Male. In ambedue gli schieramenti: opportunisti, galantuomini, servi, benintenzionati, fanatici.

Da parte di padre non ho grandi storie di guerra. Erano una famiglia di contrabbandieri (no, non fate quella faccia. Allora qui era una roba consueta) e non serve aggiungere altro.

Da parte di madre famiglia interamente socialcomunista, con anche parenti presi a coltellate durante il Ventennio perché in osteria, dopo qualche bicchiere di troppo, si lasciarono leggermente andare.

Mio bisnonno, meccanico ferroviere al Deposito Locomotive di Milano Greco, aveva sette figli e non poteva andare in montagna. Il DLMG era un focolaio di Resistenza. I mezzi erano funzionali ai trasporti tra Repubblica di Salò e Germania e andavano sabotati, a qualunque costo. Consegna tassativa: ogni dieci treni, sei venivano riparati regolarmente, tre con ritardo, uno sabotato. Lui poi, extra-lavoro, si occupava di organizzare viveri, armi ma soprattutto informazioni per chi in montagna combatteva. Finché qualcuno cantò. A quel punto era un uomo morto. I tedeschi non scherzavano un cazzo, battevano in ritirata ed erano ancor più pericolosi, anche perché metadone e morfina per loro erano cibo quotidiano. Irruppero in casa e lui s'infilò nella canna del camino. Erano sicuri che fosse lì dentro e ribaltarono la casa per cercarlo. Quando sembrarono aver capito dove si era nascosto, mia zia, ventenne, si offrì. Diciamo che tecnicamente si può dire che non fu violentata, ma quella mezzora le segnò la vita, come facilmente intuibile, soprattutto considerando la società del tempo. Non si sposò, con tutto quel comportava. Ora sono tutti morti. E' una storia che nella mia famiglia si è sempre, comprensibilmente, raccontata a mezza bocca, ma a ben pensarci da vergognarsi non c'è proprio niente. Finì la guerra. Il 25 aprile mio nonno andò in piazza per festeggiare. Non fece neanche in tempo a varcarla, vide qualche faccia e tornò a lavorare.

Suo fratello, anche lui ferroviere ma macchinista, sfruttava la sua professione per volantinare controinformazione, fogli di lotta and so on, dove per volantinare ovviamente intendo appoggiare i volantini senza farsi vedere, nella stazione di partenza e in quella di arrivo. Finché un bel giorno, tra Sesto e Monza, i tedeschi fanno fermare il treno, lo circondano a mitra spianati e iniziano a farli scendere uno ad uno per la perquisizione. Equipaggio compreso. Furono giorni intensi per la sua naturale regolarità. Perché sì, i volantini li mangiò.

Non è un mio parente di sangue, sposò la sorella di una mia bisnonna. Lui era un uomo di quelli che adesso sarebbe molto apprezzato, allora era trattato alla stregua di un idiota perché non solo non bussava sua moglie, ma le voleva un bene che mia nonna tuttora lo usa come metro di paragone. Lui aveva solo un piccolo difettuccio: diciamo che il matrimonio lo riteneva tale solo se consumato. Tutte le sere. Siccome i metodi contraccettivi dell'epoca funzionavano sì ma soprattutto no, mia zia al decimo pargolo decise di chiudere la fabbrica dei figli. Lui non se ne dava per inteso. Allora lei lo piazzava nella stanza dei bambini. A cui lui passava le serate raccontando storie di paura, paurissima. Al settimo urlo sincrono cacciato dai cinni, mia zia era costretto a riprenderselo in letto, per evitare di svegliare tutta la corte. Per chiudere la premessa: commerciava in bestiame e qualche soldino l'aveva messo da parte, mia zia si prese la polmonite, lui VENDETTE tutto, casa compresa, per farla curare (di polmonite allora si moriva uso ridere. Contrarla voleva dire condanna a morte nel 99% dei casi). La sua famiglia in toto gli diede del coglione, con parole che possiamo riassumere così: "Ormai quello che doveva fare, ossia i figli, ha fatto, lasciala morire". Andarono a Milano insieme (anche qui, robe dell'altro mondo per quell'epoca) da un "professorone". Stettero là un mese, per i primi tempi lui dormiva su una panchina di fronte all'ospedale (non aveva più un ghello), finché le suore del pensionato dell'ospedale non si decisero a farlo dormire con un tetto sulla testa. Mia zia si salvò e morì a 97 anni. Evvaffanculo.
Sta di fatto che un bel giorno i partigiani locali gli dicono che hanno bisogno di due Breda mod.30/37 (mitragliatrici leggere) da andare a prendere presso mio bisnonno. Lui se ne ricorda solo alla sera. Siccome allora la parola data era tutto, soprattutto in situazioni come quelle, fa un giro in osteria per prendere la carica e poi va al cinema del paesello, punta due pipe alle spalle di due giovanissimi GNR: "Bagaj, lassi gio' i Breda che ve suced nagott" (Ragazzi, lasciate giù i Breda, che non vi succede niente) e tutto felice se ne esce dal cinema con le mitragliatrici. Quando raccontava questa storia, la concludeva sempre con un "Ah-Ahhhhhhh, se cagaven ados!", che non ha bisogno di traduzioni.

Tre storie, senza pretese di essere altro. Tutti e tre raccontavano le raccontavano, queste e molte altre, senza compiacimenti ed eroismi e questo è il motivo per cui, pur non avendoli mai conosciuti, vado particolarmente orgoglioso di aver incrociato le mie radici con le loro. Con massimo e immutato disprezzo dei partigiani del 24 aprile verso sera che poi hanno sfrombolato i coglioni per i decenni a seguire. Meglio chi è morto per Salò.

2 commenti: