giovedì 28 febbraio 2013

E' Natale!

Oggi è Natale. L'Essere Perfettissimo compie venticinque anni.

Breve excursus: metà 2004 nella nostra compagnia OnlyBragaPride fa ingresso una fanciulla, morosa di uno dei componenti. Quindici giorni dopo un altro decide di praticare quella oscura disciplina che prende il nome di fidanzamento. Sfortuna vuole con un'acerrima nemica della prima. Iniziano a sorgere mille veti per OGNI cosa. I due ommini, opportunamente aizzati, litigano tra di loro, si formano due fazioni e la compagnia va a catafascio. Inizia un periodo in cui pur di uscire accettavo aperitivi a Kandahar e sabati di shopping a Mbabane. Il periodo Fabbrutto, che alcuni già conoscono e che prima o poi spiegherò anche per gli altri. A fine ottobre trovo (sotto un cavolo) la morosa, la prima vera morosa della mia vita. Ci viviamo addosso (nel senso che gli altri erano presenze di contorno) fino a maggio 2006. Finisce la storia.

Io son senza compagnia stabile, tipo "amico di tutti, amico di nessuno". La sempre sia lodata Kikka mi dà una mano e piano piano me ne faccio una (di compagnia). Non è il rapporto viscerale che avevo con gli altri ma ci sto bene e sono tuttora, a 5000 e più km di distanza, la mia compagnia. OnlyBraga anche quella. Nel frattempo mi vedo (e ogni tanto mi sento pure) con una che ha una compagnia OnlyGonna. E' una potenziale fidanzata ma ha il difetto di essere una di quelle che concepisce il rapporto tipo una guerra fratricida. E siccome di gnappa isterica in un rapporto basto io (specialmente all'epoca), è un continuo prendersi e mollarsi, tipo montagne russe. Sta di fatto che i miei amici rompono la guallera perché, giustamente dal punto di vista del marketing, una compagnia OnlyBraga non ottempera a determinati criteri di Customer Satisfaction e quindi mi chiedono di proporle di unire le due compagnie. Fusione a freddo, tipo Partito Democratico. Adesso vi spiego come funzionavano le serate: andavamo in un pub, tavolo da 10-15, tutte le femminucce da una parte, tutti i maschietti dall'altra. Parole scambiate nell'ordine del minimo indispensabile per non farci chiedere dai camerieri se volevamo stare in due tavoli diversi. Tanto che una sera, pur di parlarci insieme, si scelse un argomento di quelli profondi e interessanti: lavoro dei genitori. E lì feci il mio ingresso nella Sua vita con indubitabile classe. "Mio babbo è manager alla C, mia madre fa la sarta", io mi giro verso quello che avevo vicino "La saRta, la saRta, la saRta sulla fava", riproposizione di una vignetta del Vernacoliere di Luglio 1996. Doveva essere una gag così, di quelle che mi escono quando mi va in folle il cervello, ma devo aver impostato male il tono della voce e la sentì tutto il tavolo. Diciamo che non la prese benissimo, come mi comunicò una sua amica. Continuammo comunque ad uscire nella stessa compagnia, dove non so se le virgolette siano più applicabili a stessa o a compagnia.

Qualche settimana dopo me la trovai di fronte insieme a suo babbo. Non potevo non salutarla, lei mi presentò a suo babbo e vidi uno strano flash sia nei suoi occhi che in quello del procreatore. Alche qualche sera dopo trovai motivo per attaccare bottone solo con lei e scoprimmo che "celeste è questa corrispondenza d'amorosi sensi". Lei però non ne voleva sapere mezza di uscire noi due soli, fornendo argomentazioni esaustive tipo "Perché è così. Punto. Non andare oltre, Filippo. Ogni cosa a suo tempo" a cui io rispondevo con voce alla Putignani "Ma peeerrrchééé? Ma soprattutto ma peeerrrccchééé?" A questo punto rapisco l'amico del cuore (un meraviglioso personaggio con un meraviglioso cane che poi meravigliosamente si affogò in un bidone d'acqua piovana) "Senti, ciccio, ma tu non frequenti la nona buca retro?" - "Sì, amore, perché, anche tu?" - "Eh, magari, cerbiattino, avrei risolto il 99% dei miei problemi, volevo dirti: perché la Giorgia non vuol uscire con me?" - "Perché vuole che sia una storia seria" - "Va bene, ho capito". In realtà non avevo capito una sega, ma il 30 marzo, venerdì sera, mi presentai a casa sua (colla tuba e il monocolo, temendo comunque di apparire troppo sciatto) e le dissi che ero passata a prenderla per portarla in piazza, che è il luogo dove ci si ritrova(va) per decidere, tra "una chitarra e uno spinello" ("passavo già di qui" che è come andare a Monaco di Baviera passando "già di qui" per Kigali), conobbi i suoi e, mentre si preparava, mangiai pure un dolce glutine e lattosio. Ora che ci penso probabilmente quel dolce che mi ha sicuramente levato almeno dieci minuti di vita fu il motivo che le fece capire che poteva fare di me quello che voleva. Il 31, sabato pomeriggio, usciti insieme da soli per la prima volta. Il primo aprile alle 14 primo bacio (che comunque non è rimasto l'unico: ce ne siamo dati altri quattro in pubblico in questi cinque anni e mezzo). Al 28 ci siamo messi insieme.

E' stato un amore che è praticamente l'opposto del colpo di fulmine. Esteticamente mi è piaciuta fin dal primo impatto (infatti l'amica-gancio è la sua fotocopia coi capelli naturalmente lisci), ma l'ho amata, a partire da quello sguardo, poco a poco, ogni giorno sempre di più. Non abbiamo due caratteri facili: io sono troppo innamorato di alcune mie libertà (ma è anche vero che ne concedo altrettante), che però lei accetta, lei ha toni da maestrina che t'insegna la vita (ma è anche vero che parla di ciò che sa e non parla di ciò che non sa), che però a me non urtano, e non voglio neanche star qui a far discorsi su mele combacianti che non farebbero comunque parte del mio bagaglio culturale. Semplicemente con lei sento la realizzazione di quel disegno che mi lega all'infinito, composto da tante di quelle piccole cose che mi mandano in brodo come, successo l'altra settimana, l'uscire a cena in venti, stare separati per una serata intera, alzare gli occhi, cercare LO sguardo, QUELLO sguardo, trovarlo e capirci tutto, senza dire una parola.

Litighiamo una volta l'anno. A maggio. E' un appuntamento fisso, come il Capodanno o il Palio di Siena. A maggio sappiamo che dobbiamo litigare. Il giorno in cui litigheremo ad aprile o a giugno capiremo di aver fallito come coppia. Quello che ha in mano viene scagliato. Per ora sono sempre riuscito ad evitarlo. Una volta ho anche salvato la portafinestra che dà sul terrazzo da una sicura rottura dovuta all'urto del telecomando di Sky. Poi solitamente io scendo in garage o in strada e tiro un pugno o un calcio a qualcosa. Finora il peggio è stata un'infrazione all'alluce (cassonetto della spazzatura), l'anno scorso me la son cavata con una mano tipo Madonna di Milazzo dovuta alla centra che tirai alla claire del garage. Il giorno dopo partimmo per Istanbul. Tra la barba da studente coranico e la mano fasciata accettarono comunque di farmi partire ma solo dopo avermi fatto indossare una camicia di forza.

Insomma, una volta l'amavo, adesso non tanto, però ormai è qui, tanto vale tenersela, la mia 1/100.

giovedì 21 febbraio 2013

Magic Bus




Io non ho titoli per esprimere valutazioni circa la condotta viabilistica altrui visto che tra le innumerevoli figure da peeerla riuscii a confezionare questa

Libreria: camminavo guardando, toh, i libri quando ad un certo punto il piede destro si appoggiò su una superficie che non era il pavimento. Eh no che non è il pavimento...era, fu, una caviglia, ma è troppo tardi per pensare ad un piano B. Piede sinistro sullo stinco, cerco di recuperare il destro, ginocchio, ormai sono praticamente piegato a metà, bacino sulla nuca, frano in avanti e mi partono i libri che avevo in mano. Riesco a girare la faccia e mi sfracello sul pavimento di orecchia sinistra. Con l'ultimo mio grido d'animale il mio corpo eruttò lapilli e lava, esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo, mi raccolsero che ancora respiravo. Mi rialzo. Sotto di me, esangue nel corpo ed esanime nello spirito, una dolce fanciulla in un'età compresa tra i venti e i venticinque che voleva solo scegliere la miglior biografia di Kurt Cobain, come mi confesserà la madre, che poi portarono al PS perché le risate le avevo devastato l'apparato digerente. Lei non favella, mi chiede solo Scusa! Indossa uno di quei copri-spalle bianchi che le dolci fanciulle indossano in quei giorni in cui la temperatura oscilla tra i venti e i venticinque gradi ma all'interno dei negozi è sempre invariabilmente intorno ai quattordici. Quel giorno però alla temperatura si aggiungeva la pioggia. Amica mia, in questa vita abbiamo poche certezze ma una te la posso fornire pronto-uso: il maglioncino/copri-spalle non diventerà mai più bianco. Accontentati se diventerà di un grigio tenue.  

E anche qui ho già travolto un mendicante mentre guardavo una brochure, per poi  sentirmi una cacchina, scusarmi in tutte le lingue del mondo (perché qui i mendicanti non sono belli come da noi, son robe tipo film medievali), disconnettere il cervello, entrare non si sa perché in un negozio di telefonia (oh, scemm, già che sei in imbarazzo scappa lontano, fuggi, corri ragazzo laggiù), farmi spiegare in un inglese che vi raccomando delle offerte di cui non me ne fregava una sega, prendere la maniglia della porta mancandola due volte (ci vuole talento ma anche studio), col tizio che mi guarda e pensa che più che offerte telefoniche avrei bisogno di centrifughe per lavaggi del cervello.

Premesso tutto questo...
Al lavoro veniamo (de)portati e poi riportati a casa da una corriera aziendale. Sono 40 posti. A volte ne avanzano, a volte vengono riempiti tutti, a volte qualcuno deve rimanere in piedi. Ieri ero in piedi. Nessun problema. Se non fosse che c'è un tizio, che scende al mio condominio, che cinque condomini prima inizia ad andare in fregola, si prepara e inizia a guadagnare metri verso la porta d'uscita. Gli è stato già gentilmente spiegato da chiunque che la storia del "passeggero morto d'inedia perché non è riuscito a scendere dalla corriera" non è una storia vera, ma lui se ne sbatte: quando è in buona chiede permesso, quando è in cattiva urta e spinge. Lo scopo è sempre il medesimo: essere in pole-position o quantomeno sul podio nella speciale classifica dei scendi-corriera. Ieri ero in piedi davanti all'uscita (tra le altre cose avevo appena cinguettato alla Pulce), quando si aprono le porte e l'IMBECILLE mi spinge giù. Avevo in una mano lo smartphone, nell'altra la 24 ore, quindi non avevo appoggi. Ecco, sta di fatto che il piede mi s'infila tra la soglia della porta e il marciapiede e mi si gira. Risultato: ho una caviglia che se la taglio la mangio col prosciutto. 

lunedì 18 febbraio 2013

Cavalier Guido Catellani

Capitata venerdì, ha fatto molto ridere Abdi quindi ve la ripropongo con i suoi occhi

Stiamo ultimando un lavoro di manutenzione.
Gli telefonano sul cellulare.
Lui sta verificando l' ermetizzazione dei fori di trivellazione e quindi lo passa a me
Dall'altro capo del filo mi dicono che dall'impianto E1 hanno bisogno dieci operatori e un tecnico per un'urgentissima operazione di manutenzione. Giro la richiesta a Filippo.
"Ma che E1...no, non se ne parla neanche"
Provo a giustificarmi col tecnico che urla dentro al telefono, al contempo, tappando il microfono, dico a Filippo di cedere alle richieste
"Prima finiamo quello che dobbiamo fare su questa linea, poi eventualmente ne manderò là due o tre"
Il tecnico ormai sta dando in escandescenze, Filippo si ostina a dirmi che no, prima finiamo il lavoro.
"Passami sto cazzo di telefono" ringhia
Non faccio in tempo a dirgli che proprio in quel momento l'altro capo del filo è stato preso dall'ingegnere.
La sua faccia è quella dell'imbarazzo
"No, dicevo che...a prescindere dal fatto che queste cose non dovrebbero succedere perché io ve ne posso mandare due o tre, non una squadra intera più un tecnico, che poi sarei io, adesso stiamo finendo un lavoro"
"Esatto"
"Giusto"
"Ecco, vede che"
"Eh"
"Ma certo"
"Eh allora"
"Benissimo"
"A posto così allora"
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Click
"Radunali. Andiamo all' E1"

Penso abbia smesso, lui, Abdi, di ridere dieci minuti fa.

giovedì 14 febbraio 2013

Another brick in the balls

E' un post a metà tra la prima parte in cui v'è un mattone sui (vostri/e) maroni/ovaie e la seconda in cui l'anzidetto mattone si sposta sulle mie ghiandole lacrimali. Vi avviso, eh!

A me le feste piacciono. Perché danno un senso di comunità altrimenti smarrito. Odio il carrozzone costruitogli intorno, che è poi quello stesso carrozzone che ci ha fatto smarrire il senso di comunità, ma le feste in sé mi piacciono. Una coppia non è una comunità e trovo disperante che smarrisca il suo senso quotidiano, giornaliero mattoncino del grande disegno che la lega all'infinito togliendogli l'ansia dello stesso, per ritrovarlo a San Valentino. E' vero, una coppia si evolve, e anche noi l'abbiamo fatto, ma io, che pur sono un fottutissimo nostalgico (Su, compagni in forti schiere/marciam verso l'avvenire...ahahahah, scherzo), non cambierei mai il friccicorio di allora con la pienezza di oggi. Che non è tranquillità, parola che andrebbe arata a sale da ogni dizionario, ma quella cosa che mi fa sognare (è successo qualche notte fa) un cinno che mi chiede: "Babbo, mi porti al palaSSo?", facendomi passare una mattina in cui sorridevo, col sorriso dell'ebete, anche alle maniglie e agli stipiti. 

Ciao Pirata, possono essere passati 9 anni, 5036 km e una situazione in cui sarebbe meglio evitare, ma riesci ancora a farmi piangere come un vitello, quando ti rivedo mentre divori il Galibier sotto la pioggia o spiani l'Alpe d' Huez. Sei stato e rimarrai il più grande di tutti, perché avevi dentro quella cosa dei grandi del passato che nessuno dei moderni ha saputo replicare: sapevi far emozionare, sapevi far emozionare un popolo, sapevi far emozionare il tuo popolo. E uno così non muore mai. Al massimo trapassa, trascende, sublima, ma non muore.


Le emozioni più forti le ho provate lungo le strade, quando sentivo la gente che gridava così tanto "Pantani" che mi veniva il mal di testa.

Marco, perché vai così forte in salita?
Per abbreviare la mia agonia.

Dalle Alpi francesi solcate da una tempesta, si leva solenne, al di là delle nuvole della fantasia, un dio dello sport: si chiama Marco, il nome forte di un evangelista. È andato lassù, in una bugiarda giornata di luglio, a predicare sulle montagne il mistero eterno dell'uomo ai confini della più spietata fatica. Eccolo, con i rivoli di forza vitale che gli restano addosso, nel suo ultimo gemito soave. È finita. Lo straordinario miscuglio di gioia e sofferenza che agita la sua anima produce una sorta di trasfigurazione nel volto di Pantani. C'è un senso profondamente drammatico nel suo trionfo. Ne ho viste tante in quasi mezzo secolo di sport, ma l'abbraccio di Marco con quel traguardo che gli sta davanti e che gli cambia la maglia e la vita, è un'immagine baciata dall'eternità.

venerdì 8 febbraio 2013

When I was a child...

...i had a fever. No.

...il mio amico immaginario si chiamava Berlusca (ai tempi lo chiamavano - ancora - così).

...credevo che i Carabinieri fermassero le auto per i controlli sparando alle gomme. Grande sorpresa quando fermarono mio babbo usando una semplice paletta.

...ero l'unico bambino del mondo a cui di avere le ali non fregava nulla: sul libro dell'estate delle elementari c'era uno specchietto dove dovevamo scrivere i nostri desideri e c'era già prestampato: AVERE LE ALI. Per coerenza lo cancellai.

...pensavo che i calciatori lavorassero.

...credevo che Milano fosse più lontana di Roma, perchè nei discorsi si diceva: "Vabbè, ma non è mica come andare a Milano" - "Ma è un paesello, non è mica Milano" and so on. Poi un mio compagno d'asilo mi aprì gli occhi: "Guarda che Roma è più lontana, perché a Roma c'è il Papa". Davanti a questo sfoggio di logica mi inchinai: Roma era più lontana di Milano.

...ero convinto che l' Acci-picchia della sigla di Heidi, fosse riferito al sole (che in montagna, per l'appunto, picchiava. Eccheccazzo, io mi scottavo ogni estate). E comunque al momento dell'accipicchia inquadrano il sole, io 'sta roba debbo ancora capirla.

...ero convinto che i casellanti fossero tutti miliardari, visto quanto costava un viaggio in autostrada. Di questo ne sono convinto tuttora.

mercoledì 6 febbraio 2013

Best night


Ieri arrivo a casa dopo una terribbboli giornata di lavoro
"Ciaaaooo"
"Ciaaaooo"
Vado in camera, piglio l'intimo, mi appropinquo ad andare in doccia
"Uh? Non vai a letto?" (Ella in settimana va a letto con le galline, mi aspetta e poi va a ninna, verso le 22.30, e dorme 8-9 ore)
"Nono"
"Vabbuò, vado in doccia"
"Uff...ma non noti niente di particolare?"
La squadro, temendo il famigerato inganno del parrucchiere (capelli accorciati di centimetri 3, non me ne accorgo. Ed è subito tragedia. L'amore svanito. La routine. Legioni di altre fanciulle): "No"
"Uff...guarda il tavolino"
"Nooo"
"Sììì"
"Nooo"
"Sììì"
"Nooo"
"Sììì"

(A questo punto Filippo inizia a scodinzolare, ad avere le convulsioni e a vedere San Pietro sulla traversa)

"Dai, vai a farti la doccia, che poi studiamo la situazione"
"Comandi"
Guinness dei Primati per il minor tempo a livello mondiale nell'effettuare la doccia, mentre la fantasia volava verso tecniche di imboscamento da cecchino.
"Sigilliamo il bagno con gli asciugamani e stiamo qua. Uno lo mettiamo sulla porta e l'altro sulla finestra"
Io mi appoggio al lavandino, lei al davanzale interno della finestra. Adrenalina a mille, nonostante le misure di sicurezza alla Fort Knox, ché qui non si possono fare errori. Una pallina di nero (di buon livello, debbo dire). E ridere, ridere per sempre.

Oh, farà male, sarà illegale, sarà il primo passo verso l'eroina, ma a me sfumacchiare continua a piacere in una maniera esagerata, come pochissime altre cose al mondo, non posso farci niente.

lunedì 4 febbraio 2013

Kikka...e basta

Primo giorno d'asilo. 13 maschi, 11 femmine, 12 armadietti riservati alla prima classe. Il dramma. Un armadietto andava condiviso da un bambino e una bambina. Il panico si diffonde nell'atrio. Il kapo delle SSS (SchutzStaffelSuoren) passa in rassegna i pargoli e le loro mamme. Chi saranno i condannati in questa dolce mattinata di fine settembre in cui niente è più come sembra? Eroicamente una mamma esce dalla fila. E' la mia. "Io e la Sofia ci conosciamo". Zitta, madre! "I nostri figli anche". Zitta madre menzognera! Vi conoscete voi due, non noi. "Possono condividerlo loro". "Cioèèè...io e lei?". "Sì Fily, tu e la Federica". "Io" disse, con malizioso sorrisetto, la scellerata nascondendosi dietro la gamba della madre. "Lei? Ma non è un maschio!", obiettò il piccolo nanetto che aveva già capito a cosa stava andando incontro. Ventiquattro occhietti pronti a catalogarlo "piccolo froscio", altri venti pronti ad etichettarlo "Chi non è buon per il Re, non è buono neanche per la Regina". La bimba, in questo momento il suo peggior nemico, colpita nel rifiuto si mette a piangere. La mamma la stacca dalla gamba. "Dai, Fede, prima conoscetevi. MAGARI è simpatico". La bimba viene deportata al suo cospetto. Non ha il tempo di presentarsi. Un jab la raggiunge allo zigomo. Una manata raggiunge alla nuca il piccolo pugile. "Elena, non è il caso. Faranno amicizia".

Faranno amicizia una sega. Il nanetto è già spiazzato dal fatto di dover condividere l'armadietto, figuratevi il suo disappunto quando scopre che pure le iniziali sulle matite erano le stesse. Passerà i successivi tre anni a controllare che la scellerata non gliele freghi. Quando una bambina t'ha guardato negli occhi una volta, t'ha già fregato due. E comunque, per sicurezza, sono mazzate un giorno sì e l'altro pure. Finché un giorno le SSS, esasperate, decidono per la gran punizione. Il bunker, pardon la panchina, della fame. La peste salterà il pranzo, costi quel che costi. MIUR, TAR o Gabibbo che sia. I lazzi dei compagni si sprecano, le SSS narrano di banchetti luculliani a base di patatine fritte, wurstel, pizza, polpette e nutella, ad un certo punto voci di corridoio fanno circolare un rumor secondo cui nel refettorio pare si siano presentate anche le tartarughe Ninja per omaggiare i bambini. Alle 13.30 i nanetti escono in fila ordinata, cinque alla volta, per andare in cortile a giocare, passando davanti al reprobo. La causa del suo digiuno gli passa davanti e lo guarda con occhi di gatto. Dopo dieci minuti torna nell'atrio, dove il detenuto stava scontando la sua pena, con l'ulteriore sanzione della vista dei compagni che giocavano. Gli si avvicina e fa uscire dalla tasca del candido grembiulino un pacchetto di crackers, sussurrando: "Tia non l'ha mangiato ed ho pensato di portartelo. Io non c'entro niente (con la tua punizione, ndF)". L'ormai cadavere non fa una piega, prende il pacchetto di crackers e inizia a mangiarli. Sa che questo sarà solo un'inutile prosecuzione dell'agonia ma la fame di vita è superiore a tutto. Poi racconta la storia alla mamma, che continuerà a ricordargliela negli anni piangendo come una fontana per il tenero gesto della bambina. Lui comincia a guardarla sempre meno in cagnesco, lei continua a riferire alla mamma tutte le volte che quel bambino che la corca di legnate "mamma, te lo giuro, non è cattivo, devi capire la sua situazione". Una situazione degradante e disumana, l'armadietto condiviso con una bambina. Un giorno, e siamo ormai alla fine dei tre anni d'asilo, lui la spinge nel vialetto che collega il cortile al parco giochi. Un vialetto di terra battuta punteggiato da quadrotti in cemento (mancavano solo delle alabarde rivolte verso l'alto e poi sarebbe stato il trionfo della sicurezza), lei cade e si taglia lo zigomo. All'arrivo delle SSS riferisce di essere caduta da sola. Nella testa del nanetto scatta un click.

Si cresce. Si fanno le elementari allo stesso banco. I compiti e le ricerche, studiare e ripetere, leggere e far di conto. Le gite scolastiche e le estati all'oratorio. Le vacanze insieme perché le madri si conoscono e "i bambini van così d'accordo" e la fuga in bici da Cattolica a Riccione. Problemi? Avevamo sentito da ragazzi più grandi, di ben 15-16 anni, che a Riccione "sì che ci si diverte" e, convinti che avremmo trovato i gonfiabili più belli dell'universo, tentammo il tutto per tutto. Era inutile cercare di far capire alle nostre madri che Eldorado fosse. Architettammo e portammo a conclusione la madre di tutte le fughe. Dei gonfiabili dell'Eden neanche l'ombra. I bagnini si limitarono ad una ramanzina, le mamme ci legnarono per bene. Alle medie, da veri infami (quella roba non gliela perdonerò mai e per una volta son serio) ci separarono. Non si sa perché scelsero di disunire tutte le coppie che facevano esplicita richiesta di rimanere unite. "Per crescere". Ricordatevi che dovete morire, luridi vigliacchi. L'amicizia comunque continua e s'inspessisce. E' l'età dei cambiamenti e delle prime esperienze. Io cambio il timbro della voce ed è lei la prima ad accorgersene o comunque a dirmelo. "Filippo, ahm, ehm, ihm, ohm, uhm, sono diventata signorina!" (e ancora adesso quanto m'intenerisco, vado in brodo, quando sento quelle parole dette da altre, perché risento quelle parole così ingenue, così già allora anacronistiche, così belle) - "Ah!" - "Ma mia mamma mi ha detto che non è niente di grave" - "Speriamo"). Fumiamo, insieme ad altri, la prima sigaretta. Baciamo la prima donnina/ometto più o meno negli stessi mesi. Superiori, scuole diverse, ma stesso treno. Concerti, canne, politica, ciocche, "cose da grandi". Cambia, o meglio si allarga, il giro delle amicizie, ma lei rimane un punto fermo. Un punto fermo in tutto, anche nel mettermi un fermino quando, coll'idiozia di quei tempi, ho rischiato tante volte di finire in qualche giro più grande di me o di farmi male sul serio. Ci si dà una mano nelle grandi come nelle piccole cose, ci aiutiamo a vedere le questioni, grandi o piccole, con gli occhi dell'altro sesso. E si litiga, oh quanto si litiga e poi si fa pace partendo dalle sinapsi bruciate dei nostri cervelli da tre-enni, come quando spezzammo il cornetto della colazione al bar "Entri un'ora dopo?" per organizzare un teatrino tra noi, che poi scoprimmo (perché siamo sempre stati molto poco pirotecnici) essere diventato l'attrazione di tutto il locale. Finiamo le scuole, andiamo a lavorare, cambia quasi tutto. Ci si vede meno, ma ci si vede sempre. Ci si sente meno, ma ci si sente sempre. Ci si pensa sempre, ci si crede sempre, ci si spera sempre. Perché so che quando servirà, lei ci sarà, perché quando è servita, lei c'è stata. Pienamente, gratuitamente, disinteressatamente. Quando ho qualche pensiero brutto che siano malattie, lutti o incidenti, il mio involontario antidepressivo auto-prodotto, che staziona lì, nel fondo dell'animo, è il pensiero "Tanto c'è la Kikka", i brutti pensieri volano e mi rassereno. Ora sono qui, a migliaia di km di distanza, ma so bene che se dovessi, in questo preciso momento, contattarla chiedendole di essere qui domattina...domattina la troverei a bussarmi alla porta.

Riflettendoci...qualche accenno qua e là, in altri contesti, ma è la prima volta che scrivo o parlo più o meno compiutamente della Kikka, argomento raro anche per chi mi conosce bene, perché quello che c'è tra me e lei è una cosa preziosa e preferisco averlo scritto qui sopra dove, non so perché, non so per come e non so per quanto, riesco a scrivere BENE quello che fino a qualche tempo fa facevo fatica anche solo a riordinare nei pensieri. Sarà la distanza o il contesto o la forma ma è così.

venerdì 1 febbraio 2013

Cristiano Ronaldo Oh la la la

Prendo spunto dall'ottimo blog della Chiara* per parlare di quel magnifico popolo che passa le giornate libere bevendo, ruttando, andando in piscina, diventando fucsia, cantando ed essendo felice. Poi la sera va al pub beve, rutta, guarda la partita, canta ed è felice. Qui è pieno, murato, di sudditi di sua Maestà.
Io non è che sia un antropologo anche se l'Europa e un pezzo di mondo l'ho girato, ma è la prima volta che vivo a contatto, anche lavorativo, per un tempo così lungo, con un altro popolo. Ultimamente, complice i giorni di riposo sfalsati rispetto alla morosa, ci esco assieme almeno due volte a settimana, perché uscire a lume di candela con Goldrake che comunque è un califfo, aldilà degli Alvaro Pereira e delle gag da blog, non mi pare il caso.

Cose che ho capito

- Bevono, ruttano, vanno in piscina, diventano fucsia, cantano e sono felici.
- Nel giro di dieci minuti possono dirti che loro non sono andati in vacanza in Portogallo, ma a Madeira, farti un discorso di geopolitica (lo stesso che prima mi ha detto che va a Madeira e non in Portogallo, eh!) che ti vien da chiedergli se sono tecnici o corrispondenti di Limes, vedere un pakistano e mettersi a fare il verso della scimmia.
- Bevono, ruttano, vanno al pub, guardano la partita, cantano e sono felici.
- "Spain is an awesome country, mate!" - "Why?" - "Well, it's full of english people. You can find all the beers, you could want. I can watch Premier League, because it's plenty of sports bar". Ecco, dopo questa tripletta io mi stavo già domandando perché qui ti leghino per tre anni se ti beccano a fumarti una canna, ma lui/loro proseguono. "Air coinditioning is more fucking massive than Stockport. I like bolognaise spaghetti, carbonara sauce and Spanish cuisine. But there are also McDonald, Burger King and KFC!" Dopo questo secondo three-peat io ero ormai esanime. Lui era sempre più perplesso e allora va coll'affondo finale "Everybody go there, so we decided to do the same" - "Ah!" - "And then..." - col sorriso di chi ha capito tutto e adesso ti spara l'affondo finale, per farti capire che lui non è un cretino - "...Cristiano Ronaldo oh la la la"
- Come si può non volergli bene? Stiamo parlando non di un classe 1997, neanche di un 1987, ma di un 1977! 37 anni. Che ogni volta mi ricorda che se voglio uscire con loro la sera successiva debbo sottopormi al rito d'iniziazione a cui non mi sono ancora prestato. Incendiarmi una scoreggia.
- Non so se mi sono ricordato di scrivere come passano i giorni liberi?
- Ma gli voglio beniZZimo.
- Ah, la sera prima possono ammazzarsi di birre (non approvano la mia birretta media, anche se sono affascinati dal fatto che possono bermi due vodka lemon - che qui sono limonate - senza fare una piega, visto che loro sbarellano solo a sentirne l'odore), uscire dal locale barcollando (fumo negli occhi per gli indigeni), andare a letto vestiti da tanto che sono imballati ma il giorno dopo, inappuntabili, dieci minuti prima del loro turno sono lì, con camicia stirata e la faccia delle migliori occasioni.

*
http://lavitadiunapuntuale.wordpress.com

Andate a visitarlo, infedeli! Una grande narrazione popolare! Non come nei vostri blog torre d'avorio, che divaricano sempre più la distanza tra chi scrive e chi legge! Lì si è tutti sullo stesso piano, si scende in strada, ci si sporca le mani, senza limiti, senza tabù, senza barriere. Intendiamoci: non è che sia proprio per tutti, eh, lei lascia fare, ma poi arriva col suo tocco sapiente e distingue l'uva dai tralci, il grano dal loglio, il bambino dall'acqua sporca. Ogni commento è all'insegna della lisergia, mentre ci si dondola sull'altalena della metafisica (devo trovare il modo di produrre internamente THC, non ce la faccio più!). Guardate quanti commenti hanno fatto i suoi ultimi post! Sta quasi per raggiungere il suo idolo Fabio Volo, di cui apprezza il cammino di emancipazione socioeconomica e di cui ha inciso tutte le battutone (la sua preferita è: "La cosa più bella di Milano è il treno per Roma") sul muro della camera e le sue massime da uomo vero ("Ho letto da qualche parte che il vero motivo per cui si sono estinti i dinosauri è perché nessuno li accarezzava. Bisogna sperare che l'uomo non faccia lo stesso stupido errore con le donne". Fabietto, amico mio, io capisco che tu pigli vagonate di euro per scrivere 'ste cose ma in un Paese civile ti giustizierebbero colla garrota Apache per averci anche solo pensato ad una stronzata del genere) sull'elica del suo DNA.

Però non posso terminare un post su questo magnifico popolo senza rendere omaggio a Sua Maestà

Non so neanche scegliere una foto, mi commuovo e basta

https://www.google.it/search?q=emma+watson&rlz=1C1FDUM_enIT492IT492&aq=f&um=1&ie=UTF-8&hl=it&tbm=isch&source=og&sa=N&tab=wi&ei=M8kKUaPTBIyK4gTxzoGwAg&biw=1366&bih=667&sei=ZskKUdT1CeL_4QTI74HYCQ

Vorrei solo fare una richiesta a tutti i registi dell'universo: fate un film dove la inquadrate per 120' in primo piano. Compro io tutti i biglietti di tutti i cinemI della galassia, ve lo prometto.