mercoledì 10 dicembre 2014

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Ho sempre schifato quelli che "meno male che quest'anno di merda sta finendo". Fino al 2014. Un anno di merda che getta prospettive funeree sul 2015. Dodici mesi circondato - a migliaia di chilometri di distanza - da lutti, malattie e amenità di questo genere. Uno stillicidio di sfighe piccole, grandi ed enormi. Ogni giorno, una nuova. Che poi io non son fatto per buttarle fuori - ci ho anche provato, non funziona - e per cui macino tutto dentro. Quanto mi tocca dar ragione a John Giorno e al suo "Nessun cazzo è duro come la vita".

mercoledì 3 dicembre 2014

Ten seconds to andarmene affanculo



E' già un mese che non scrivo. Quante cose sono successe. Voce fuori campo: un cazzoooooooo. Di seguito gli episodi più esaltanti dell'ultimo mese. Utenti delle case di riposo leggete ed esaltatevi con me.

1) Oltre a quanto già in precedenza elencatovi, da una settimana dormo con un uomo di colore. Di quel colore là. In due letti separati. Separatissimi.

2) In compenso, per farvi capire l'abbruttimento, il collega con cui ho legato di più è uno che ha il corpo ricoperto di tatuaggi che vanno dal labrys ai fasci littori, dal teschio della Decima Mas ai motti del Ventennio e mi ha detto che quando ritorna vuole farsi un nuovo tatuaggio politico. Gli ho proposto "Noi non siamo del Leoncavallo" nel caso qualcuno avesse dubbi. Lui non ha capito. A volte mi dice "Ritorneremo", io gli dico "Sìsì, il 19 dicembre". Lui non capisce. Evidentemente è la condizione necessaria e sufficiente per farsi assumere.

3) A differenza sua, io sto benissimo. L'altro giorno, per un'operazione di preparazione ad una rilevazione, avevo in mano un crivello (non la raffinatissima Giorgia, che è di Bernareggio, Brianza profonda, ci tengo a ricordarvelo), che sarebbe quella cosa qui
  
e mi stupivo perché i granuli cadevano, anziché finire in fondo alla rete di maglie. Ebbene, amici miei, tenevo il crivello allegramente girato al contrario. Sono andato avanti per una buona decina di secondi a farmi domande sul curioso fenomeno fisico. Forse è meglio non capire e sperare in anacronistici (voto 2) ritorni.

4) Il puntello della mia allegrezza è la ricerca quotidiana della minore interazione possibile con esseri umani di sesso maschile - che poi qui sono tutti uomini a parte due donne con BMI superiore a 15,5. Quindi uomini, per me. Loro cercano di coinvolgermi. Io cerco di non farmi coinvolgere. Loro dicono che Emma Watson in fondo non è così meravigliosamente sublime. Io per una volta non dò ascolto ai consigli di mamma sulle "brutte compagnie" e mi coinvolgo. Mandandoli sonoramente a fare in culo, tirando in ballo le (loro) madri, le (loro) sorelle ma anche l'astemìa dei (loro) padri. Loro ridono. Un giorno li ammazzerò.

5) Mi hanno inflitto quattroeurovirgolatredici di penale sullo stipendio. Peraltro proprio ieri ragionavo - c'erano dei medici pronti ad intervenire in caso di complicazioni cliniche - sul fatto che quando esercitavo la nobile dell'allenatorato - mi chiamavano "Maestro" (giuro) e io ovviamente lasciavo fare ché anche quello serviva a gonfiare la ruota del pavone - pigliavo all'ora più di quanto prenda oggi.

6) E' arrivato l'assistente psicologo del lavoro. Già il fatto che ci abbiano mandato l'assistente fa capire quanto siamo considerati. Il mio colloquio si è aperto con l'assurda richiesta "Che problemi ha rilevato dall'arrivo in questo impianto?". La mia risposta è stata "Lei ha intenzione di morire di vecchiaia seduto su quella sedia?". Lui ha riso. Siamo finiti a parlare di basket. Quanta serietà, quanta empatia, quanta li stramortacci mia.

7) 19 rientro. 20 cena della leva ("dai, non fare l'asociale"). 21 cena delle superiori ("dai, non fare lammerda"). 22 cena ex-colleghi ("dai, non fare il robboso"). E mi hanno anche già chiesto "Ohhhhhhh, Filipppppppo, cazzo fai l'Ultimo?". E improvvisamente mi sono sentito piombare addosso come piombo (ah ah ah) tutto il carico ingiustificato della saudade che ho provato durante quest'anno che mi sembrava infinito. Non voglio più tornare. No, scherzo.

8) Skypo con la Zorza. Passa dietro un coglione (non ci si crede, vero?). 
Coglione: "Ciaooooooo, moje di Filippo"
Giorgia: "Ciaooooooo"
Filippo: "E' romano!"
G: "Dai?"
F: "Te lo chiamo!"
F: "Andreaaa, vieqqua"
Coglione arriva
G: "Sei di Roma?"
C: "Sì"
G: "Zona?"
C: "Pomezia"
G: "Levate va"

9) Ieri Ella ha sostenuto l'A2 di tedesco. Io, per ovvi motivi, no.  Lei non è una che fa pesare le cose. No. Ieri sera smessaggiamo, le chiedo cosa sta facendo, mi risponde che sta leggendo Hegel, in tedesco. L'ho insultata. Pesantemente.

10) Un altro tecnico mi telefona per un lavoro che dovrebbe fare lui ma lui decide che devo farlo io alle condizioni poste da un terzo tecnico. Già qui capite che la mia situazione psichiatrica già precaria diventa quella di Ed Gein. 
"Ascolta, facciamo così: io gli mando una mail e ti metto in copia, così io e Boris (perché tutto parte dai nomi: cosa cazzo vuoi pretendere da uno a cui le due persone che dovrebbero amarlo di più a questo mondo, hanno scelto di affibbiare il nome BORIS??? ndF) decidiamo i vari passaggi e tu sai cosa fare"
La mia risposta pacata per cui ha minacciato prima di bussarmi, poi di licenziarmi (non so con quali poteri ma non sottilizziamo), poi di denunciarmi è stata: "Devi finirla di collezionare cromosomi". 

Ciao belli e ricordatevi sempre "Beato tu che sei all'estero, qui è tutto uno schifo" slash "Beato tu che lavori in un ambiente internazionale, ricco di stimoli e di culture differenti".

P.S.
Ho (ri)iniziato ad ascoltare i Prodigy. E' grave? In realtà lo faccio solo perché immaginare migliaia di persone strafatte di droghe sintetiche che si muovono come una via di mezzo tra Robocop, Ken di Barbie e i tori di Pamplona è un'immagine che riporta una terapeutica serenità in questa mia anima tormentata.

martedì 4 novembre 2014

Finalmente


Venerdì scorso le voci che circolavano da qualche tempo sul fatto che saremo rivettati qua fino al 17 dicembre si sono trasformate in - tragica - conferma. Sospinto da uno spontaneo moto nascente dal primo nome, quello di Corridoni, e dal secondo nome, quello di Bresci, che gli ascendenti più prossimi mi affissero, ma soprattutto da due maroni che ormai sono diventati quattro, otto, sedici e che promettono di divenire trentadue, sessantaquattro, centoventotto nel prossimo mese e mezzo, scrivo una mail al Mega-Direttore Clamoroso Duca Conte Pier Carlo Ingegner Semenzara in cui, con felpati giri di parole, gli faccio capire che "Abbasta, mo me so popo rotto er cazzo".

Il M-DCDCPCIS mi risponde domenica facendo uscire un fax su cui apporre la mia prestigiosissima firma, recante una promozione motu proprio. Giubilo et gaudio? Manco per il cazzo, la promozione mi tiene inchiodato qua e ha un valore pari a "Se mangi la minestra, guardi i cartoni animati fino alle 21.30". Mi suscita una felicità pari solo a quando scartavo i regali aspettando un nuovo videogioco e vi trovavo un maglione.

Replico alla mail, scrivendogli, sempre con parole più felpate di una lingua dopo una tolla da cinque litri di Heineken, che non era esattamente quello il senso della mail, la sua risposta è quasi stizzita e mi dice che domani farà una conference call con me ed altri tecnici che si sono lamentati. Tecnici che, come il sottoscritto, evidentemente credono nell'anarco-individualismo e che infatti mica si erano consultati tra loro. A questo punto capisco che Zia Ulrike aveva ragione anche questa volta. "Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un’azione politica. Se si dà fuoco a una macchina, il fatto costituisce reato. Se invece si bruciano centinaia di macchine, diventa un’azione politica. La protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene. Resistenza è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non succeda più" e che forse è il caso di organizzare una piattaforma comune di lotta. Dopo trenta secondi di discussione, mi sposto verso posizioni parimenti tedesche ma più hitleriane e propendo per la soluzione finale dei miei compagni.

Ieri alle 11 inizia la conference call e a quel punto ritorno all'anarco-individualismo, ma più prosaicamente a pensare ai cazzi miei, e prendo subito la parola, visibilmente alterato riporteranno le cronache, sparando ad alzo zero una roba tipo: "Guida suprema, condottiero illuminato, grande padre del nostro destino: sul contratto di trasferimento nel Sultanato, c'era scritto che avrei potuto essere spedito in trasferta al massimo due volte all'anno, per un periodo massimo di due mesi, di cui uno di trasferta a rischio. Ecco, in questo 2014 mi sono fatto da gennaio a marzo in Libia, trasferta a rischio, da maggio ad agosto in Turchia e ora dovrei star qui fino al 17 dicembre, altra trasferta a rischio?". Lui si stupisce e mi chiede come ciò sia possibile. Ho rischiato di trovare la quarta dimensione con un destro ben assestato al monitor. Visibilmente alterato, come le cronache continueranno a riportare, mi chiudo in un cupo mutismo, colla soave espressione di Anders Breivik quella mattina del 22 luglio 2011. Gli altri parlano dei cazzi loro, che sostanzialmente sono la prosecuzione dei cazzi miei con altri mezzi. Qualche spiantato parla pure di stipendio, ché io vorrei cantargli nelle orecchie "Alla nostra età devi essere sposato, con due figli, laureato, per esser rispettato da questa società, avere un conto in banca, un mutuo da pagare per un monolocale, dove poterti impiccare, quando ti vedrai nei debiti affogare e non potrai scappare. E alla nostra età invece noi suoniamo punk e alla nostra età invece noi suoniamo punk" ma poi lui non capirebbe e mi chiederebbe "E allora tu perché ti sei sposato?" e io gli dovrei rispondere "Per la sua nuvola di dubbi e di bellezza e de li mejo mortacci mia" e la conversazione non avrebbe senso.

Spippolo nervosamente sullo smartphone cercando un modo per iscrivermi ai terroristi e inneggiando alle Brigate Izz al-Din al-Qassam, peraltro protagoniste dell'ultima sbornia agostana come mi dissero due costernati miei colleghi l'indomani quando mi trovai a dormire sul pavimento della loro camera: "Fily, t'abbiamo portato in camera quando sei saltato sul tavolo inneggiando a dei martiri palestinesi o forse ad altra gente, non si capiva bene" e aspetto la fine della conversazione altrui, che si chiude all'incirca alle ore 12.28.

O almeno questo pensavo.

Perché in realtà s'era "chiuso" il video ma non l'audio e per cui mi metto ad imitarlo e alla fine dico "E il bello è che ha anche il coraggio di chiedermi: "Come mai?" ma io, ma io, ma veramente, mavvaffanculo".

Ecco, l'audio non era chiuso. Non so se il M-DCDCPCIS abbia sentito o magari ha sentito il tecnico o magari non ha sentito nessuno. Sticazzi. Forse ho trovato la via per farmi licenziare. Finalmente.

Poi non so, vogliamo aprire il capitolo permalosità dei miei colleghi? Insomma, cito solo un episodio perché altrimenti occuperei tutto il uorld uaid ueb: c'è questo abitante di quella zona del mondo su cui proseguirei senza requie a fare esperimenti nucleari, nota come "tutto quello che sta ad Est del Pakistan, ad Ovest degli USA, a Nord dell'Australia e a Sud della Russia". Un essere che a 'sto punto penso sia allergico all'acqua pulita, che sembra che viva in un friggione, che ogni volta che apre bocca muore una farfalla che batte le ali e poi l'uragano dall'altra parte del mondo o come cazzo era, eccetera che OGNI volta che accendo il notebook arriva a rompermi i coglioni. Se sono su Skype con qualcuno la rottura di coglioni quintuplica. Se poi è una fanciulla, la rottura di coglioni decuplica. Beh, chattavo con 'sta amica che risponde a tutte e cinque le virtù cardinali (è magra che ar parco le paperelle je butteno 'r pane, è bianca che co 'na candela je fai la radiografia, fuma, ha gli occhiali, ha i capelli castano chiari/biondi e gli occhi chiari), si apposta dietro come un gufo piddino da rottamare e inizia a rompere il cazzo: "Dai, fammela conoscere".

"No". Perentorio.

La richiesta viene replicata altre cinque volte. Contate, non scherzo. Io continuo ad opporre il mio forte, franco, fermo e fiero diniego. In maniera educata, da maturo, maschio, bianco, occidentale. Alla settima volta, da maturo, maschio, bianco, occidentale ma anche un po' anni Trenta, "Senti, amico, l'hai vista lei? Ecco, te sei mezzo cinese e mezzo negro, 'ndo cazzo vuoi anna'?". Beh, s'è offeso. Sticazzi. Forse ho trovato la via per togliermelo dai coglioni. Finalmente.

venerdì 31 ottobre 2014

Beato tu che sei all'estero, qui è tutto uno schifo o Del come s'inizia a bestemmiare



Ricapitolando

Faccio un lavoro non mio, in un Paese in guerra, in cui alle 18.30 fanno 32°C, c'è la sabbia che s'infila ovunque quindi non posso mettere le lenti ma sono costretto a mettere gli occhiali, ché a me senza ausili ottici - mavvaffanculo anche a me stesso, ausili ottici - mi ci vuole il cane e il bastone, mi stanno TUTTI sul cazzo - non c'è più neanche il quasi, TUTTI: stupidi come i sassi, permalosi come stamminchia e ce n'è anche uno, è notizia di queste ore, a cui ho prestato la BIC alle 15 e non me l'ha ancora ritornata, 'sto cesso ribaltato che sua madre piscia in piedi e suo padre è un uomo astemio - e probabilmente sono costretto qui fino al 17 dicembre. Quest'anno ho visto più i miei colleghi demmerda che mia moglie. L'unica cosa che mi consola è che da domani, se non direttamente da stanotte, tutti inizieranno a rompervi i coglioni o (e, per i più fortunati) le ovaie su cosa farete all'ultimo - "Ooooohhhhhhh, cazzo fai l'Ultimo?" con quel tono soave che contraddistingue questi luminari - mentre io me la scampo fino a metà dicembre.

Però un tempo sono stato felice anch'io, come quando il lunedì successivo ad un derby passato a devastarsi l'ugola, la prof chiese ad un mio compagno di leggere una novella. Inizia a leggere - "Marelli, non si sente!" - "Ehhh, prof" - Ricomincia a leggere - "Marelli, dobbiamo sentire tutti!" - "Ehhh, prof" - Ricomincia a leggere - "Marelli, mi prendi in giro? Alza quella voce".

Non potevo esimermi, mi girai, distesi il braccio, con la mano perpendicolare al piano delle ascisse e lo incitai "Alza la voce, coniglio alza la voce, aaaaalzaaaaa la voooceeeee, coooniiiglio aaaaalzaaaa la voooooceeeee".
Due settimane a spazzare il cortile, svuotare i cestini e verniciare le aule durante il pomeriggio. Sono stato più bidello io di tutti voi messi insieme. Però non potevo esimermi.

P.S.
Sono le 18.54 e il cretino continua a non ridarmi la BIC. Kuklinski, forever in my heart, ha ucciso per molto meno.

giovedì 2 ottobre 2014

Lo straccio



Negli ultimi giorni, tra una roba e l'altra, sono uscito pochissimo colla Trudi. Ieri notte, stranamente insonne, rimuginavo su ciò. Preso dall'insonnia e dai sensi di colpa - è per quello che cerco di morire prima di avere figli - mi sono alzato e sono andato a fare un giro con lei. La Trudina che, solitamente, sposta l'asse terrestre ad abbai quando si accorge che stiamo per uscire, si è limitata a guardarmi perplessa e soprattutto addormentata. All'inizio faceva fatica a camminare da quanto era rincoglionita, poi si è rassegnata a seguirmi. Qui non piove MAI, ma proprio MAI, MAI, MAI. Fino a ieri notte alle tre quando ormai eravamo a cinque km da casa. Siccome qui non piove MAI, ma proprio MAI, MAI, MAI quando lo fa le strade diventano ruscelli, torrenti, fiumi. Sabbia e acqua. Acqua e sabbia. Ad un certo punto, la sua perplessità si trasforma in uno sguardo fisso e attonito, uno sguardo che significava solo: SEI PROPRIO UN COGLIONE, PASSANO GLI ANNI MA RIMANI SEMPRE QUEL COGLIONE CHE HO CONOSCIUTO LA PRIMA VOLTA - quando la presentai alla mia ex e a tutta la sua famiglia allargata, vestito da Babbo Natale: "Potresti presentarti a Natale, vestito da Babbo, davanti a tutta la mia famiglia. Ahahahah, che ridere". Detto, fatto. "Va beh, ma io scherzavo"). E' arrivata a casa che sembrava uno straccio tra la sabbia che la ricopriva e l'acqua che la inzuppava. Sempre con lo sguardo fisso e attonito. Pensavo mi sbranasse. Alla mattina, solitamente, quando irrompo - torcia in mano - in cucina mi assale: stamane apre un occhio, vede che sono io e finge di continuare a dormire, curando ogni mio movimento: sia mai che replichi il numero di stanotte.

venerdì 26 settembre 2014

Un anno dopo

 
26 settembre 2013 - 26 settembre 2014

"Tu, che hai dato alla mia vita il suono del tuo nome
Tu, hai trasformato tutto il resto in uno sfondo
Tu, della mia esistenza sei l'essenza"

Io, che mai e poi mai avrei detto "mia moglie" e ora invece mi riempie il cuore, la testa, tutto.

mercoledì 17 settembre 2014

Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione



Il primo giorno che entrai nella divisione sultanatica della company ci dissero che il dress code non è stringente come in Italia - comunque niente di eccezionale: camicia e barba rasata - ma che si può venire a lavoro anche in T-Shirt. Ricordo l'ultima postilla "Senza esagerare, mi raccomando". Penso sia una procedura standard, compreso il "Senza esagerare, mi raccomando". Ieri Mattia si è presentato al lavoro con una maglietta con un Hitler dalla sognante espressione e la scritta "I have a dream". Alle 14 ha iniziato il turno, alle 14.30 girava con una T-Shirt bianca. "Mah, L. (il nostro ingegnere di linea, ndF) m'ha rotto la minchia. Non c'ha proprio un cazzo da fare, quello".

L. è proprio una di quelle L. là, tipo Primo, tipo Carlo, tipo Rita. Lui immagino che non ne sappia niente, anche perché per lui è già tanto essere consapevole della propria esistenza in vita.

Dopo il corso di tedesco e quello di boxe, dovrò iscrivermi a quello per non volergli bene perché è ogni giorno sempre più difficile.

mercoledì 3 settembre 2014

The Italian Job



Tutto cominciò una mattina di fine agosto. Era usanza che io facessi una settimana di vacanza con mio babbo che per contratto aveva cinque giorni di ferie in più di mammà. In quella settimana ci si preparava alla scuola, si finivano i compiti e si facevano 2-3 gite che iniziavano al mattino e si chiudevano in giornata. Quel giorno però dovevano arrivare a casa nostra i muratori a sistemare le tegole del tetto. E i muratori arrivarono. "C'è un problema, il ragazzo che doveva venire con noi, stanotte è stato male e quindi siamo solo in due, ci servirebbe qualcuno a darci una mano". Qualsiasi altro genitore si sarebbe offerto. Lui no. Offrì me. Nove anni. I muratori rimasero perplessi ma alla fine dissero che andava bene. Il mio lavoro consisteva nel pigliare la corda con nodo scorsoio che calavano dal tetto, infilare le tegole, chiudere il nodo e fargli segno di tirarle su, pigliare la caldarella piena di detriti che calavano dal tetto, svuotarla nel cassone del camion e fare segno di tirarla su. Quattro ore in cui mi divertii anche, debbo dire, se non fosse stato per quei continui "Attento eh, attento". E alla fine, oltre al divertimento, mio babbo mi diede anche settantamila lire, probabilmente per comprare il mio silenzio. Ma chi m'ammazzava? Infatti tutto orgoglioso lo dissi a mammà quando la vidi tornare dal lavoro. "Scusa, Fily, spiegami bene la storia" - "Eh, gliene mancava uno e allora hanno preso me!" - "Ma non poteva andare papà?" - "Lui ha detto che dovevo andarci io". Ricordo bene il passo dell'oca, che le è sempre venuto benissimo, con cui salì le scale. Lo affrontò piegando la testa leggermente verso sinistra "Tu sei completamente scemo" - pausa - "Anzi, la scema sono io, che dovevo capirlo da quel dì".

Il primo lavoro vero fu (riprendo un vecchio post)

"[...]Trenta dipendenti, fondata nella seconda metà degli anni Sessanta, in pieno boom economico, facevano tappi, maniglie, cappucci, protezioni, nastri, flange. Tutto in plastica, che iniziava proprio in quegli anni la sua clamorosa scalata al successo come materiale di straordinaria versatilità. 
Alpino, pugile in gioventù, capace, questo vuole la leggenda, di saltare sulla ribalta dei camion (1 metro) con due sacchi da 25 kg di boiacca nelle mani, era noto come "Ul cassù" ovverosia "Il mestolo" per la sua familiarità nel tirare chiavi inglesi del 30 nei confronti dei dipendenti che si fossero resi protagonisti di errori di lavorazione. Lei, che ci ha lasciato a gennaio dell'anno scorso, zitella, era tanto affettuosamente quanto carbonariamente chiamata dai suoi dipendenti schiavi come la "spaccacazzi dei sottotappi" per il suo realismo nel pigliare ordini. "120k sottotappi? Ne abbiamo a magazzino solo 50k!" - "Sìsì, non c'è problema, non ho fretta. Per quando riesce a completare l'ordine?" - "Domani va bene?". 
Col tempo si addolcirono entrambi (lei, ad esempio, negli ultimi anni aveva preso anche l'abitudine di salutare chi incontrava), ma negli anni Sessanta e Settanta il lavoro estivo degli adolescenti del paesello di mio babbo si divideva in due categorie: i promossi andavano a lavorare, i bocciati andavano a lavorare dal Cassù. I suoi metodi educativi si dimostravano più efficaci di quelli della Montessori nel raddrizzare giovinotti spiantati. C'era gente che dopo essere stata bocciata un anno in prima liceo, in quello successivo si laureava in Ingegneria Aerospaziale. Due anni di lavoro dal Cassù ed eri pronto ad entrare nella Legione Straniera. Come istruttore. C'era gente che tornava a casa e passava la serata a guardare il soffitto. "Cosa c'è?" chiedevano, piene di sensi di colpa, le loro madri "Sto pensando che domani lo debbo rivedere". 
Mio babbo, e il sottoscritto di conseguenza, invece era paraculato, perché nipote della moglie del Cassù, l'unica persona al mondo capace di tenerlo a freno, e quindi con lui il Cassù andava sì di chiave, ma mai superiore al 12. Perché era comunque uno che al vincolo familiare ci teneva.[...]
L'anno seguente il Cassù ebbe un calo di ordinativi che lo portarono a non assumere più per la sola estate, lo venni a sapere proprio a inizio giugno, dovevo pagarmi le prime vacanze a Jesolo (ebbeh, allora...), tutti erano già sistemati e finii a lavorare in nero, per una miseria, e su turni. Ricordo ancora con dolore il terribile turno 22-6 in cui sul tragitto per andare a lavoro passavo davanti al mio bar che proprio alle 21.30 iniziava a popolarsi, con le varie compagnie che lo usavano come luogo di ritrovo per poi trascorrere la serata in altri meravigliosi luoghi. Guardo le immagini dei bambini che lavorano nelle miniere e gli dico, pensando che possano sentirmi, "Eh, se sapeste quello che ho passato io, sorridereste alla macchina fotografica". Il proprietario pagava in nero perché era un amante del rischio: mai fatto lavoro più pericoloso. Realizzavamo reti metalliche con macchine che facevano paura solo a guardarle, le cui uniche protezioni erano le madonne che tiravano gli altri operai. Infatti nell'altro turno un mio omologo (studente che lavorava in estate) parcheggiò una mano dentro una trancia. Inevitabilmente, dato che arrivarono in azienda Polizia Stradale, Carabinieri, ACI, ANAS, AISCAT, AUTOSTRADE PER L'ITALIA e la partecipazione dell'AGIP, ci lasciò a casa tutti. Fortuna volle che comunque avevo già messo via soldi a sufficienza per le vacanze. Poi passammo gli ultimi giorni a rubare dallo spaccio del campeggio ma questa è un'altra storia... 
Al processo, il nostro uomo si difese dipigendosi come un benefattore che toglieva i giovani dalla strada, garantendogli un lavoro. Quando lo venni a sapere capii che questo mondo era popolato anche da gggente che non distingue tra il culo e la faccia. Cogli anni scoprirò che la maggior parte della gggente ha la faccia come il culo.

L'estate successiva Donna Elena decise che DOVEVO imparare l'inglese. E fu Ashley. E furono i nanetti a cui lei aveva iniziato a fare da babysitter. E fu che il nanetto maschio minacciava di modificare il ciclo delle stagione a lacrime ogni volta che mi allontanavo di sette centimetri dalla sua posizione. E fu che finimmo a dividerci i nanetti perché le bimbotte, già allora più sgamate, mi vedevano come Barbablù. E fu che i genitori decisero di farsi dieci giorni in California da soli. E fu che praticamente diventai il padre temporaneo del nanetto. Che poi è stato quello che mi ha insegnato l'inglese. Non ho mai avuto il coraggio di dirlo ai miei superiori, che così capirebbero perché lo parlo bene e lo scrivo come un bimbo di prima elementare. Al momento dell'addio, guance interne massacrate per evitare mariomerolate. Il nanetto quell'anno iniziò ad andare alle elementari. Il primo giorno tornò da scuola dicendo a sua mamma che: "Filippo era un maestro migliore". Se ci ripenso, ricomincio a masticarmi le guance interne. Poi com'è normale che sia i contatti si sono diradati ma quando un mese fa mi ha mandato un'e-mail dicendomi che stava iniziando a pianificare l'anno sabbatico tra high school e college che vorrebbe trascorrere in Italia, ho dovuto ricominciare a masticarmele. Non fu un vero e proprio lavoro ma debbo dire che oltre a mettere da parte qualche dollaro, prontamente sputtanato in canotte NBA che ci volevano due Filippo per indossarle, i racconti delle cose che successero in quei mesi, protagonista il nanetto, sono ancora uno dei pilastri con cui tendo a svoltare le serate-down in locali di dubbio gusto. I bimbotti sono bellissimi, in comode rate da dieci minuti alla settimana.

Arriviamo all'estate dei diciotto anni. Io quell'estate non è che ce l'abbia granché presente. Ho solo presente che al lavoro c'era Lei. Che lavorava con me. Che mi disse No e No e No. Ma allora non esisteva ancora il reato di stalking. Però esisteva il No. Secco e categorico. Per tutti ma non per me. Ché se lei mi chiedeva "Filippo, dove sono le bobine?" io avevo già in mente di prenotare tutte le chiese e tutti i ristoranti del lago la data del nostro del matrimonio. Sapevo tutto di lei: dove abitava, dove usciva, chi frequentava. E allora Facebook aveva quattro mesi e lo conosceva giusto Zuckerberg. Tutto il lavoro di ricerca era farina del mio sacco, c'avevo un dossier tipo Nanni in "Bianca". A distanza di dieci anni posso esprimere un commento sereno e pacato, oserei dire istituzionale: "Ti meriteresti le peggio cose, stronza demmerda. T'ho sacrificato un'estate per l'anima del cazzo!". Anzi, magari per l'anima del cazzo. L'ho rivista a dicembre (lei eh, non l'anima del cazzo). Anzi, mi ha rivisto a dicembre perché io mica l'ho riconosciuta, dato che se allora pareva una bambolina, ora la vedrei bene come matrioska maggiore. Le mie maledizioni possono essere lente ma sono inesorabili.

L'estate successiva lavorai in una cooperativa che durò un'estate. Ma non per colpa mia, che futuro poteva avere una cooperativa in cui si sbucciavano e lavavano verdura e frutta? Peraltro popolata da "lavoratori" anche simpatici ma storditi in una maniera tale che ti chiedevi se avevano trascorso la loro infanzia in una cassa del Number One. Un episodio per tutti: andavo a lavoro con quel Booster che ormai maltrattavo da cinque anni e la spia della broda non si accendeva più, per cui facevo benzina ogni tot km. In quei giorni, chissà dove avevo la testa, mi dimenticai di farla e rimasi a piedi sulla strada per andare a lavoro. Sulla stessa strada OGNI giorno incrociavo quello che lavorava nella postazione DI FRONTE alla mia. Sono lì che smadonno perché nell'avantindré dal benziano avrei perso la mezzora quando passa questo in auto. Ricapitoliamo, io sono lì, col motorino parcheggiato a bordo strada in curva, smadonno e arriva lui che mi lavora di fronte e sa benissimo che sto andando a lavoro. Cosa fa? Mi saluta e passa via. Arrivo a lavoro colla rabbia, ma anche il cimurro e pure la leishmaniosi, e questo mi fa: Filippo, ma cosa ci facevi lì? - O razza di pirla, avevo finito la benzina, non si capiva? - Nooooooo, sul serio, ma cazzo dovevi dirmelo: mi sarei fermato. Il TFR lo spesi in mazze chiodate.

Quell'inverno c'era in programma colla morosa di allora di fare un grande viaggio losalcazzodove (poi nell'incertezza su dove fare il viaggio, ci lasciammo) ed essendo sempre a corto di quattrini e non volendo chiederli ai miei, trovai il lavoro definitivo, quello casalingo. Avete presente le cinture colle borchie? I bracciali molto roooock, ecc. Ecco, io mettevo le borchie. A 5 centesimi a borchia. Ricordo il primo giorno di lavoro: da una parte un sacco con 5000 pezzi in pelle (similpelle, dai), dall'altro un sacco con svariate tipologie di borchie. Le recava in mano un simpatico capoarea che mi disse: domani alle 16 passiamo a ritirare. Domani che? Erano le 16, c'erano 24 ore di tempo, mi misi di buona lena e iniziai a mettere borchia su borchia: alcune (me le ricordo ancora: cono, killer, stud, piramide e QW) erano solo da avvitare, per quelle circolari invece c'era una macchinetta in comodato gratuito - il buon cuore, la grande anima, la generosità della casa madre. Alle 17 ero bello soddisfatto. Ma, dai, pensavo fosse più difficile. Alle 4 del mattino avevo ancora 1000 pezzi da fare e non avevo dormito un cazzo. Poi presi il giro (=mi cinesizzai), aiutato anche dal fatto che ogni tanto mi capitava di borchiare abbigliamento sadomaso che mi faceva molto ridere. Poi capii che forse era il caso di cercarmi un lavoro che non mi riducesse tipo il Chaplin di Tempi Moderni.

E iniziò la ricerca di un lavoro definitivo: dopo aver fatto il tornitore (benissimo, bravissimo - ma soprattutto bellissimo - però al termine del contratto puoi andare gentilmente, cortesemente, signorilmente a fare in culo?), l'accompagnatore di camionisti (nel senso che li accompagnavo nei viaggi lunghi), l'omino delle pizze (Brazzers e Naughty America purtroppo rimangono delle - meravigliose - opere di fantasia), il commesso/segretario/insomma quella roba lì in palestra e forse dimentico pure qualcosa, incontrai l'uomo che mi cambiò l'esistenza, lavorativa ma forse non solo, una sorta di secondo padre. Siccome poi la vita è una merda, cinque anni dopo mi e ci lasciò, al termine di tredici mesi di inusitata sofferenza. Per non farla troppo lunga che questo è un post da cazzeggio e poi mi viene il groppo in gola mentre scrivo, questo è quello che lessi al suo funerale.
Hai lottato come un uomo con la brutta compagnia
che non eri mica stanco
che nessuno mai è pronto quando c'è da andare via
hai pregato bestemmiando per la rabbia per tutta l'agonia
per le scelte che stava facendo Dio


Come sempre in questi casi ci sarebbero tante cose da dire, tante emozioni da rivivere, tanti anedotti da raccontare. Uno per tutti, il giorno in cui mi ha assunto. Dunque, cosa conosci o cosa sapresti fare a livello di idraulica? Niente, però ho una discreta motivazione. Derivante da? Non vedo l'ora di andare fuori di casa.
Risata: Beh, mi pare una buonissima motivazione.

Voglio però ricordarti com'eri, pensare che ancora vivi,
voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi e che come allora sorridi...


Un mestiere che ho amato in maniera viscerale, che solo chi mi ha conosciuto nel profondo sa quantificare la misura del piacere che provavo ogni mattina quando mi svegliavo, perché gli altri non si capacitavano e pensavano che la mia fosse quasi una posa, un mestiere che mi ha fatto apprezzare e vivere in prima persona quella frase definitiva di Primo Levi sulla felicità umana con cui penso di avervi già sfrombolato a sufficienza i maroni e le ovaie: Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono e un mestiere che, in ultima analisi, conto di continuare a fare una volta tornato in Italia, in una maniera o nell'altra. Ché lo so che di questi tempi è come bestemmiare in chiesa ma per me nessun contratto a tempo indeterminato vale determinate sensazioni che si chiamano orgoglio del lavoro ben fatto, piena autonomia nelle decisioni, armonia dell'ambiente lavorativo.

venerdì 18 luglio 2014

L'era tutto giusto, Gino, ma comunque tutto da rifare


Siamo nel 1940. Bartali, già vincitore di due Milano-Sanremo, due Giri d'Italia, un Tour de France e tre Giri di Lombardia, buca. Ripara la foratura, riparte e mentre si sta per ricongiungere col gruppo di testa, un cane gli taglia la strada e lo fa cadere, procurandogli fastidiosi dolori al femore. La Legnano, la squadra di Gino, decide di puntare su un giovane e sconosciuto gregario dal fisico improbabile, di nome Fausto, voluto proprio dallo stesso Bartali. Coppi è al primo Giro d'Italia, non ha ancora vent'anni, è praticamente un lattante in uno sport in cui anche allora si continuava a correre e a vincere ben oltre la trentina. L'altro è Bartali, un semidio, e forse sarebbe il caso di togliere semi, dell'Italia sportiva di allora, in cui il ciclismo faceva premio su qualsiasi altro sport, calcio compreso ed era, aldilà della frusta e ormai malcelata retorica di regime, uno dei pochi motivi di orgoglio italiano all'estero. Ebbene, il semidio potrebbe puntare i piedi (d'altra parte è Bartali), potrebbe ritirarsi (d'altra parte le ferite parlano da sole) e invece no, accetta di diventare gregario del gregario e lo porta a vincere il Giro d'Italia. E non è un modo di dire, ce lo porta proprio di peso. Prima viene sedotto da quel ragazzo col fisico da scartatore di golia ma una capacità cardiorespiratoria da Guinness dei Primati, capace di fargli pompare sangue e ossigeno anche quando gli altri hanno la spia della riserva accesa, che nell'undicesim tappa, da Firenze a Modena, parte con una fuga da lontano, mulina le gambe in centodieci chilometri di sofferenza in cui attacca l'Abetone come se fosse un cavalcavia, affronta il freddo, la pioggia e la grandine e arriva nella città emiliana con un distacco abissale, quasi quattro minuti, sul suo più immediato inseguitore, indossando la sua prima maglia rosa. Poi però quel ragazzo col naso ancor più discutibile del suo lo fa anche arrabbiare. E non poco. Siamo alla sedicesima tappa, Coppi sembra ormai destinato ad arrivare in rosa a Milano ma il suo enorme cuore è custodito da un fisico di cristallo, quello che lo porterà a morire precocemente, complice la malaria, poco più di vent'anni dopo. E il fisico presenta il conto. Da Trieste a Pieve di Cadore si affrontano rispettivamente le impegnative (eufemismo) salite del Falzerago, Pordoi e Sella. Sul Pordoi, Fausto va in crisi, le gambe diventano di legno, lamenta dolori gastrici (si parlò di congestione da uova, erano veramente altri tempi), addirittura mette giù il piede e palesa l'intenzione di abbandonare il Giro. Bartali è davanti a "tirarlo" sulla salita, come l'ultimo dei gregari, quando si accorge del tutto. Scende dalla bicicletta e con metodi non proprio montessoriani - dopo una scarica di insulti, prese la faccia di Coppi la infilò nella neve che incorniciava le strade del versante bellunese del Pordoi e per non farsi mancare niente gliene mise anche po' sotto la maglietta, sempre ricordandogli le umili origini di entrambi e i sacrifici fatti dai genitori per assecondare la loro passione - lo rimette in sella, urlandogli una delle frasi che rimangono leggendarie per gli appassionati "Coppi, sei solo un acquaiolo, ricordatelo!", che nel gergo del pedale corrisponde a quei ciclisti che sono deputati a portare l'acqua per i loro capitani, uomini di fatica che non avendo talento non conosceranno mai la gioia della vittoria. Anche se una versione più goliardica vuole che il buon Gino, amante del buon mangiare e del buon bere, volesse punzecchiare Fausto, uno dei primi atleti maniacali nel rispettare una dieta rigorosissima. Fatto sta che Coppi si rimette assieme in qualche modo, riesce ad affrontare anche il Sella e va a vincere il Giro d'Italia. Il giorno successivo l'Italia entra in guerra, Coppi è mandato in Africa a combattere come fante della Divisione Ravenna e viene catturato dagli inglesi che, riconoscendolo, lo trattano coi guanti bianchi e gli accordano addirittura il permesso di allenarsi durante il periodo di prigionia. Non ci fosse stata quella sfuriata sul Pordoi, chi lo sa cosa sarebbe successo...magari sarebbe stato lo stesso fatto prigioniero dagli inglesi, sarebbe stato un signor nessuno come i suoi commilitoni e probabilmente i suoi parenti non avrebbero avuto nemmeno un luogo dove piangerlo ma è inutile farsi tante domande: Ginettaccio era fatto così.

Siamo nel 1948. L'Italia è uscita malconcia dal Ventennio e dalla guerra. Le elezioni politiche del 18 aprile hanno decretato la vittoria più schiacciante di un partito politico nella Storia d'Italia: la Democrazia Cristiana piglia la quasi maggioranza assoluta dei voti e impone la sua centralità nella vita politica del Paese, centralità che verrà perpetuata per i successivi 44 anni. Il Partito Comunista, e soprattutto la sua base, è però in subbuglio, un subbuglio dovuta ad una serie di disillusioni. Quella seguita all'esito del voto (il precedente delle elezioni per la Costituente aveva fatto ben sperare), quella seguita alla percezione di una rivoluzione tradita (la sensazione di aver inutilmente combattuto e di aver inutilmente visto morire amici e parenti durante la Resistenza), quella seguita al sempre più probabile ingresso dell'Italia sotto l'ombrello della NATO (recidendo nel profondo i legami colla "Patria dei lavoratori" come allora veniva chiamata l'URSS). In questo scenario, il diavolo ci mette la coda sotto la forma di uno studente, Antonio Pallante, che spara cinque pallottole calibro 38 tra la schiena e la nuca del segretario del PCI, Togliatti. L'Italia è sotto-shock: incidenti, scontri e manifestazioni causano una serie di morti e migliaia di feriti, a Torino viene sequestrato l'Amministratore delegato della FIAT Vittorio Valletta, le linee telefoniche e ferroviarie collassano a causa degli scioperi. Il pericolo di un'insurrezione armata, colle armi mai consegnate dopo la fine della guerra e occultate nei nascondigli della struttura clandestina del PCI, è dietro l'angolo. Degasperi, segretario della DC e Presidente del Consiglio, telefona a Bartali che è in Francia alle prese con un Tour che dopo un inizio difficile sta sorridendo al toscano. Manca però ancora la maglia gialla, da dieci giorni sulle spalle del francese Bobet. Il giorno successivo è quello della tappa regina di quell'edizione: il percorso prevede, nell'ordine, Galibier, Croix de Fer, Portet, Coucheron e Granier. Gino vince la tappa, indossa la maglia gialla, la porta fino a Parigi e diviene l'unico corridore della storia ciclistica a vincere due Tour a distanza di dieci anni. Non si sa cosa si siano detti in quella telefonata, la leggenda vuole che Degasperi l'abbia quasi supplicato di vincere la tappa come "arma di distrazione di massa", Bartali ha sempre smentito, pur ammettendo la telefonata, fatta solo, a suo dire, per sincerarsi delle sue condizioni. Viene difficile pensare pensare che un Presidente del Consiglio di un Paese sull'orlo della guerra civile telefoni ad un ciclista per chiedergli come stava ma è inutile farsi tante domande: Ginettaccio era fatto così.

Siamo nel 1952. Galibier, la salita più evocativa della storia del ciclismo, quella che garantisce gloria imperitura a chi riesce a spianarla, a chi la percorre più velocemente per abbreviare la propria agonia. C'è una foto. C'è La Foto. Chiunque pensi al ciclismo, chiude gli occhi e se la ritrova nelle prime cinque immagini. C'è una bottiglia e ci sono due mani destre. Una è quella di Coppi, l'altra è quella di Bartali. Il primo davanti e l'altro dietro. Chi passa la bottiglia a chi? Nessuno dei due l'ha mai detto, anzi è più probabile che chi la passò abbia (quasi) intimato all'altro di non dirlo. La verità è fin troppo semplice: basta guardare chi ha il portabottiglie ancora pieno e chi l'ha completamente sguarnito. Dopo più di sessant'anni non si sa ancora chi l'abbia passata a chi e probabilmente non si saprà mai. Viene difficile pensare che un ciclista col portabottiglie completamente sguarnito passi la sua ultima bottiglia ad un avversario con almeno due bottiglie ancora disponibili ma è inutile farsi tante domande: Ginettaccio era fatto così.

Ma soprattutto siamo nel 1943. Siamo nell'inverno peggiore della storia recente italiana: freddo come sono stati solo quegli inverni, fame come ce n'è stata solo in quegli inverni, guerra, tanta guerra, quella peggiore: la guerra civile. Gino Bartali, professione: riparatore di biciclette (ebbene sì), aderisce alla DELASEM (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei). Fingendo di allenarsi, trasporta nel telaio della bicicletta documenti falsi tra Toscana e Umbria, contribuendo a salvare la vita a centinaia di ebrei, oltre a quelli che ospitò direttamente a casa sua. Gli ultimi cinque mesi di guerra se li fa da ricercato, con pena prevista non l'affidamento in prova ai servizi sociali ma il muro. Questa era (quasi) riuscito a tenerla nascosta a tutti ma alla fine gliel'hanno scoperta. Per fortuna era già morto quando Ciampi gli conferì la medaglia d'oro al valor civile e quando, pochi mesi fa, lo Yad Vashem (il museo israeliano che ospita la memoria della Shoah) l'ha nominato "Giusto fra le Nazioni", un riconoscimento che va a chi è riuscito a salvare la vita anche di un solo ebreo durante le persecuzioni nazifasciste. Per fortuna, dicevamo, perché altrimenti sarebbe riuscito a smentire anche quello perché Ginettaccio era fatto così.

Sì, forse era fatto così. Della pasta migliore. Un bicchiere di vino e la richiesta al gregario che passava davanti alla porta della sua camera durante un giorno di riposo di andare a vedere se "Quei signori nella sala da fumo, che ho sentito essere italiani, hanno un pacchetto di Nazionali, ché queste Gauloises sanno di niente". L'era tutto giusto, Gino, e proprio per questo tutto da rifare.

martedì 8 luglio 2014

Trenta giorni



Siccome nella barzelletta vivente che è questo posto mancava solo il giapponese, è arrivato. Anzi, la giapponese. Sorprendentemente per le abitudini dei figli del Sol Levante parla un inglese abbastanza fluente. In compenso non capisce una parola di italiano. Anzi, lei credeva di capirne qualcuna, poi gli è stato spiegato col giusto tatto che "Vaffanculo" non è la risposta più urbana per porgere il proprio garbato diniego. No, Harumi, "non proprio" non si traduce con "vaffanculo". Fortunatamente, prima della grande scoperta, ha sfanculato solo tecnici e operatori, anche se per lei, che mi ha detto che in giapponese non esiste manco il "No" (sarà vero?), è stato un grande trauma. Stiamo riallocando dispositivi all'interno dell'impianto e lei ieri era la mia ingegnerA di linea. Io, lei e l'altro tecnico abbiamo amabilmente chiacchierato durante il turno. Lei è affascinata dal fascino che il Giappone esercita su noi occidentali, io le ho detto che sono l'unico occidentale a cui del Giappone non frega un cazzo, non ho mai letto un manga, non guardavo neppure Dragonball - volevo anche dirle che hanno tutti la faccia in due dimensioni, che hanno la pelle gialla perché pisciano controvento e che se l'Oriente finisse col Pakistan si starebbe tutti molto meglio ma poi mi sono trattenuto perché non volevo apparire troppo chiuso nei confronti delle culture inferiori - e che le uniche cose che apprezzo del Giappone sono i calciatori (non è vero), le idol (è vero) e raccontare dell'omicidio Furuta ai più impressionabili tra gli amici e i parenti. Fatto sta che con giubilo e gaudio, nonché ripetuti indici (suoi) puntati sulla testa (sua) ad indicare l'igiene mentale della testa (mia) andiamo in mensa, dove per la prima volta dopo due mesi sono comparsi quei legumi noti al mondo come ceci (risotto alla greca).
Li vedo e sono felice, di una felicità inesprimibile a parole. Sono talmente felice, che potrei anche morire da un momento all'altro. L'autoctono mi dà le solite tre scucchiaiate di riso, io vorrei oltrapassare il vetro e pigliarlo per il bavero ma mi limito "One more, please", lui capisce che glielo avrei ripetuto almeno altre due volte e me ne dà subito altre tre. Caracollando dalla gioia mi dirigo verso il tavolo con un passo tipo Giulio Cesare quando passava sotto l'Arco di Trionfo. Scucchiaio. Eh, insomma, il riso era occhei ma i ceci: DURI COME IL MURO, roba da lasciarci lì una mezza arcata dentaria. Evitando scene tipo Fantozzi alla cena di gala a casa della Contessa, guardo il mio dirimpettaio, che viene dalle mie lande, e gli dico: "me paren i balet de sciopp" - mi sembrano i pallini del fucile. In un posto normale questa non sarebbe dovuta neanche essere una battuta, ma in questo luogo di desolazione devo essergli sembrato Woody Allen e inizia a ridere di gustissimo, diventa paonazzo, manca poco che si strozzi. Rido con moderazione del suo contorcersi dalle risate, lei chiede una spiegazione, poi esige una spiegazione, poi intima una spiegazione. Alla fine glielo traduco e succede una roba che pensavo succedesse solo in "Mai dire Banzai" (a proposito della mia ampia cultura giapponese): ride come lui di una battuta non solo spiegata ma pure tradotta. Ride e ride, ad un certo punto m'irrita (ma chi ha insegnato a ridere ai jappi? Nitriva anziché ridere), vorrei replicare l'omicidio Furuta e alla fine mi dice: "You're so fucking funny guy".

Ora, un mese fa durante una conversazione mando un messaggio alla Zorza in cui come al solito debbo aver commesso un imperdonabile errore, dopo essermi molto scusato "Se Le porto la palla, mi fa giocare un po'?", lei inizia a ridere e quindi è costretta a tradurre il tutto alla sua amica-collega Poppy (Poppy...nomi che pensavo esistessero solo nei libri d'inglese delle medie) e questa gli dice "Your husband is so fucking funny guy". Due settimane fa in preda ad una crisi d'ansia per le pene d'amore di un'altra amica-collega - che praticamente si vede con uno, ci passa le serate, tutto bravissimo, tutto bellissimo, tutto benissimo, poi finisce la serata, rimangono in macchina, parlano di ogni argomento dello scibile umano ma lui sia mai che ci provi - mi chiede: "Secondo te, dal tuo punto di vista maschile, cos'è che lo frena? Che poi lo chiedo a te che in realtà sei più mezzafiga di tutte noi messe insieme ma vabbé" e io, sempre scusandomi, le dico "Gli direi: Picchiami, ma baciami". Lo riferisce alla sventurata che le risponde: "Georgia, you're so fucking funny girl" - la signora si appropria anche delle battute altrui ma il fucking funny ero io, vergogna. Tra le altre cose poi l'amica non ha fatto come le avevo (mirabilmente, ammettetelo) suggerito e infatti il nostro Porfirio Rubirosa 2.0 s'è fatto di nebbia.

Forse dovevo andare a fare il comico per stranieri. Se penso che Iacchetti e Boldi si sono campati la vita con due sketch merdi (i due di Boldi: "Faccia da pirla" e "Tatatatatachicardia" perché Iacchetti manco quelli aveva) e io sono qui in una buca colla prospettiva di morire a cinquant'anni di enfisema mi viene (anche) la depressione. E' iniziato pure Ramadan ma tra i pochi pregi di questa prigione c'è che si avverte meno rispetto all'anno scorso e poi ormai siamo all'ultima boa: 30 giorni alla felicità. Me lo dico da solo: daje, Fili'. E quest'anno per la prima volta dopo un lustro non si scarpina in vacanza. L'obiettivo è sdraiarsi giorno 8 agosto e rialzarsi giorno 23. Anzi, preferibilmente mettersi di lato e rotolare verso Fontanarossa per sprecare meno energie possibili. Ovviamente sempre con crema solare protezione 700 perché anche in vacanza non bisogna mai dimenticarsi che abbronzarsi è male quasi come le scarpe aperte. Il malvagio sole è sempre in agguato e non bisogna farsi trovare impreparati.

mercoledì 18 giugno 2014

Pena di morte (p)e(r) le gattare



Il coordinatore dei tecnici di un'altra delle linee dell'impianto è, incredibile a dirsi, un coglione di quelli che bisogna impegnarsi per scovarne uno così. Non tanto nel suo lavoro in cui mi dicono essere competente ma per quanto è banale, volgare e tutti gli aggettivi peggiori dell'universo ogni volta che apre bocca in mensa. Me lo suco per ventuno pasti alla settimana perché abbiamo lo stesso orario di frequentazione della mensa e questa massa di imbelli è elastica sul perdere migliaia di euro all'ora perché non chiude una valvola ma sulle cose importanti, tipo i turni della mensa, non ammette deroghe: per mangiare in un orario diverso da quello assegnatoti devi rivolgerti alla FAO. Ovviamente non posso mangiare colle cuffie, come sarebbe giusto e normale, perché, nonostante questo gulag, l'ultimo barlume di educazione mi è rimasto incagliato nel carattere. Non so quanto tempo ci metterà a disincagliarsi ma potrebbe essere questione di secondi.

Sta di fatto che qualsiasi argomento approccia sai già che la conclusione che ne trarrà sarà sempre la più banale. Che si parli di calcio, politica, costume. E a me la banalità, facente spesso il paio coll'ineleganza, che non è la giacca e la cravatta o il tailleur e lo stiletto, ma come uno pensa e agisce. Solitamente parla (con altri, io non gli rivolgo la parola, però il tavolo è quello e quindi...) di argomenti tipo Balotelli, gli stipendi dei parlamentari oppure la Minetti. L'altro giorno discettava di quello che era successo a Motta Visconti. Attacca colla tiritera sulla pena di morte. Io sto zitto, come sempre, tanto non ne vale la pena. Finisce un discorso che avrebbe fatto impallidire un unno - che probabilmente lui pensa essere un numero scritto in modo errato - mi guarda e dice: "O sbaglio?". Finisco di mangiare la polpetta di gomma che l'ottimo servizio mensa ci fornisce e gli rispondo: "Sbagli. Per me, sbagli" - "Perché?" - Siccome un po' stronzo so esserlo anch'io e la risposta me l'ero preparata da qualche minuto "Perché l'abbandono della pratica della pena di morte è uno dei pochissimi lasciti che apprezzo dell'illuminismo".

Alla parola illuminismo è andato in crisi, probabilmente deve anche averla confusa con comunismo - la sua evoluzione politica è andata da B a Grillo - ed ha riattaccato con un'altra bella, e anche qui non banale, tirata sui comunisti buonisti pacifisti (e tutti gli altri -isti), che si conclude colla seguente domanda: "E se capitasse a tua moglie?" (probabilmente l'illuminismo gli ha cortocircuitato il cervello perché non ha capito che se capitasse a mia moglie, l'assassino sarei io) - "Risponderei colle parole di quel politico americano, non ricordo se senatore o governatore, che disse: "Vorrei che la giustizia fosse più lucida di un marito a cui ammazzano la moglie o di un padre a cui ammazzano i figli" - "Sìsì, tanto non gliela daranno mai" - come se fosse prevista dall'ordinamento. Ah, i nipotini della patria del diritto - "Stai sereno, daranno ragione a quelli come te" - "E meno male, altrimenti vivremmo, nel migliore dei casi, quello americano, in una società in cui il padre insegna ai cinni a sparare a cinque anni e secca il nonno che piscia dietro la siepe". Lo vedo frastornato. Non si perde d'animo "Tanto poi ci pensa la giustizia del carcere. Ahhhhhh, lì dentro per chi tocca le donne e i bambini  c'è una giustizia interna".

Questo è uno dei discorsi che mi fa più incazzare in assoluto. Sono anche pronto a discutere sulla pena di morte - mammà ad esempio è favorevole, quindi è stato un argomento ricorrente nella mia formazione - perché alla fine rientra nel solco della giustizia di uno Stato, ma su 'sta ciclopica cazzata della giustizia interna al carcere, vado ai matti, perché QUALSIASI cosa al di fuori delle regole che uno Stato si è dato, QUALSIASI cosa al di fuori del contratto sociale che uno Stato ha stabilito coi suoi cittadini è un abuso e uno Stato che chiude gli occhi su un abuso è uno Stato debole.

Infatti se sulla pena di morte FUI abbastanza calmo nell'esposizione, qui mi SI CHIUSE la vena e l'eloquio DIVENNE torrenziale.

"Certo, che dimostra semmai la debolezza di uno Stato che si affida ad altri assassini oppure a galantuomini come gli stupratori per ristabilire una giustizia che lui non è in grado di attuare. Assassini dimenticati che quindi diventano giustizieri a cui appellarsi, lo stesso compito che si vorrà assegnare a quel maiale tra qualche anno, quando sarà stato dimenticato da tutti e un nuovo maiale massacrerà la moglie e i figli. E uno Stato debole non è che è debole a compartimenti stagni: è debole in toto. Nel non punire adeguatamente corrotti e corruttori, nel calare le braghe al primo scioperello, eccetera eccetera. E chi arriva in uno Stato debole ed è forte perché le esperienze della vita l'hanno segnato, si adegua rapidamente a trarne il maggior vantaggio col minimo sforzo, fottendosene di ogni regola e da un certo punto di vista è più comprensibile il suo atteggiamento, visto che non ha radici in quel territorio, rispetto a quelli di chi lo abita da millenni. Uno stato forte invece è forte in tutti i settori. Punisce TUTTI duramente ma senza vendette e anzi cercando di rieducare, ha precisi indirizzi economici e non basta una corporazione del cazzo per iniziare a concertare anche sulle virgole e i sospiri e accoglie, perché sa che le migrazioni sono un fenomeno storico e non politico, discriminando solo sulla base delle infrazioni alla legge".

Ha iniziato a perdere sangue dal naso e ha capitolato con un: "Certo che sei ben strano" (io, eh, non lui). Insomma, sono bastate tre frasette da tema di terza liceo per mandarlo in crisi. In altri tempi mi sarei sentito pure una merda per quella roba del "Ti piace vincere facile", oggi no. Pietà l'è morta. E da quel dì. Questo sa anche lavorare, pensate a quelli che lavorano col culo e ragionano con lo stesso quale bel clima riescono a creare e poi capire perché la mozione "Palla di Lardo" vede crescere il numero dei suoi delegati tra i neuroni che affollano la mia testolina.

Fortuna che anche in questo impianto ho scoperto esserci delle palle di pelo, pulci e zecche (questi però le hanno veramente, non come la Viziata) e l'altro giorno mentre passeggiavo con la Vale dicendole di quanto questo posto mi faccia orrore: "E' tutto una merda, tutta una mer..." ad un certo punto salta fuori una roba che più lercia non si può ma con quattro zampe, due orecchie, due occhi neri e un muso lungo. Il sottoscritto passa dallo stato solido allo stato liquido: "Ciaaaaaaaooooooo bello" e poi una serie di frasi irripetibili tipo "Lalalalalala" - "Dimmi un po' da dove spunti?" - "Eh, cucciolo, da dove vieni fuori?" - "Ma bello lui".
Dopo tre minuti di catatonia ipercinetica, la Vale mi fa: "Beh, bello, diciamo...un tipo". Dopo altri per me brevissimi e per lei infiniti minuti "Carissimo, tra mezzora iniziamo il turno, sarà il caso di andarci a vestire, no?" - "Eh sì, un attimo" - "Peggio delle gattare, peggio delle gattare. E non è la prima volta".


mercoledì 11 giugno 2014

Mai schiavi di Roma

 
Domani iniziano i Mondiali. Tra russi, neerlandesi e italiani si stanno organizzando i gruppi d'ascolto. Io vorrei morire. Ancora più che negli altri giorni. Tra le differenti nazionalità si fanno già quelle simpatiche gag, note come sfottò, che non tollero in contesti amichevoli (Io seguo il calcio per una marea di motivi, ma non vado per divertirmi, scriveva Nick Hornby nel suo immortale "Febbre a 90°"), figuriamoci in 'sto posto di merda. Spero che l'Italia non segni neanche un goal perché alla sola idea di abbracciare uno qualunque di questi stronzi mi viene voglia di contrarre il bacillo della peste per contagiarlo. L'unica cosa che mi consola del non essere in Italia è che non dovrò spiegare alla solita massa di imbecilli "mai schiavi di Roma" che non è l'Italia ma la Vittoria ad essere schiava di Roma, come si evince dal verso le porga la chioma, perché alle schiave romane venivano tagliati i capelli per defemminilizzarle e distinguerle dalle donne romane libere che infatti venivano chiamate in capillo. Fatelo voi per me, ve ne prego: non servirà a niente, tra tre mesi lo ripeteranno ancora, però è comunque una buona azione e verrete ricompensati nel Regno dei Cieli.

Che poi...

Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
che schiava di Roma,
Iddio la creò

aldilà di ogni parafrasi, come può una trasmissione di sinapsi processare l'informazione che è l'Italia ad essere schiava di Roma è un mistero doloroso per me e gaudioso per un neurologo.

P.S.
Però potrebbe aggirarsi anche per queste lande uno "mai schiavo di Roma". Per star sul sicuro, sabato notte mi armerò di un serramanico.

venerdì 6 giugno 2014

Se ne volevo una Normale andavo a Pisa



Quella volta che alla domanda "Che lavoro fa?" dicesti ai tuoi "Lo conosco da poco, lui dice l'idraulico ma debbo ancora approfondire la questione, perché non me la racconta giusta". Quando lo venni a scoprire, da tua madre, il giorno in cui le dicemmo che ci saremmo sposati, ti chiesi: "Perché, cosa pensavi che facessi?" mi sentii rispondere, con quella tua intonazione impassibile come solo un medico ad un congresso, con quella tua aria franca, forte, ferma e fiera, quella che riesci a estrinsecare anche, soprattutto, quando spari le peggio cazzate "Ero convinta spacciassi". Alla mia espressione (colpevolmente) sbigottita obiettasti "Vabbé, non fare quella faccia di cazzo, non ti conoscevo nemmeno". Tua madre rise molto, intimamente chiedendosi cosa aveva sbagliato in quei nove mesi. E io capii che se avesti avuto tutte le rotelle e tutte perfettamente funzionanti, non mi saresti piaciuta, figurati sposata.

venerdì 30 maggio 2014

Vecchio dell'Alpe stile di vita



E' arrivato un tecnico nuovo. Romano, 35 anni. E' simpatico ma è uno di quelli che pensano di essere più simpatici di quello che sono. Io lo sapevo che il momento doveva arrivare, lo percepivo nell'aere, lo annusavo colla mia canappia (che, ricordiamoci: "Amo', se dici de no, sparecchi e se dici de sì, affetti er pane"). Però in questo circo psichiatrico è uno dei pochi che non vedrei bene grattato via dall'asfalto eccetera eccetera e quindi me tocca.

Lui: "Ma come fai a conoscere così bene Roma?"
Io: "C'ho vissuto, contando diversi periodi, per qualche mese. Ci abitano alcuni miei parenti, andavo a trovarli, mi feci un giro d'amicizie e d'estate ci tornavo spesso. Mentre invece mia moglie c'è nata e cresciuta per 16 anni e quindi ogni tanto torniamo"
Lui: "Dove stavi?"
La prendo larga: "Roma Nord"
Lui: "Ahah, anch'io. Io so' di Grottarossa"
(pensiero: "Fiùùù, m'ha detto la zona, non la frazione, dai che la sfanghiamo) Io: "Ah, conosco, dove han trovato la Mummia". Poi, incauto, aggiungo: "Io stavo alla Marcigliana"
Lui: "Io a Saxa Rubra, vicino alla Rai. Presente?"
Io, che lo sapevo, che lo sapevo, che lo sapevo che sarebbe andata a finire così: "Più o meno"
E poi, eccola, come Damocle se la sentì sulla collottola: "E tu dove stavi alla Marcigliana?"
(pensiero: "Rassegnati Filippo, rassegnati"): "Settebagni"

Gente, siamo nel 2014, viviamo in comode case con la luce, l'acqua corrente, il gas a rete. Abbiamo una. due, anche tre famiglie. Stasera uscirete, riderete, ballerete, canterete, forse v'innamorerete. Ma ricordatevi sempre che anche nel 2014 (in lettere: duemilaquattordici) al solo sentire "Settebagni" c'è ancora chi risponde "Poi t'asciughi".

E quell'infame così rispose.

La prima volta che sentii quella divertente (...) espressione non sapevo ancora scrivere.

Eravamo nella sala di compressione del gas e ho sentito un irresistibile impulso ad accendermi una mozzica. E quando succederà, perché succederà, voi saprete che non l'ho certo fatto per futili motivi ma perché, al culmine dell'abbruttimento fisico e mentale, c'è chi m'ha risposto "Poi t'asciughi".

Voi capite che in ambienti come questo, l'ultimo problema sarà calarmi per tre giorni nelle viscere della terra a respirare metalli pesanti?

P.S.
Se poi vogliamo aggiungere dolore al dolore, l'altro ieri mammà m'ha scritto che Emma "ha il mento da streghetta". Ma come posso continuare a rapportarmi con gente così malvagia? Il progetto nonno di Heidi procede a tappe forzate.

giovedì 22 maggio 2014

Giornate dure


Prendo spunto dal quinto punto dell'ultimo post della grandiZZima Brioche a cui mando un grande e sentito abbraccio. Parla di storie di emigrazione, mettendo inizialmente in chiaro che

"[...]sono pur sempre una migrante fortunata, arrivata qui su un comodo aereo, con un contratto e la prospettiva di una vita normale a tempo limitato. Non ho avuto bisogno di un permesso di soggiorno né di un permesso di lavoro per poter rimanere: queste cose mi sono garantite per nascita, senza fatica. Ok, vivo in un convento e già questa mi sembra una bella penitenza o pena del contrappasso, ma ancora mi è ben chiara la differenza tra queste vicissitudini fastidiose e il dramma di chi viene dal mare, disperato: il mio alla fin fine è un racconto da poco, lo sappiamo tutti. [...]"

e io sono ancor più fortunato di lei perché il mio lavoro è stabile e comunque mi sono portato un pezzo, il più importante della mia vita, con me. Anche se poi durante l'anno passo mesi interi senza vederla. Quindi, continuando a citarla, rafforzo il suo:

"Fatte queste debite premesse, che spero mi scagionino da ogni forma di confronto con ben altre questioni"

Il punto 5, dicevamo...

"5- Il bilancio tra cosa si è guadagnato e cosa si è perso stando qui, in termini umani, di relazioni sociali, di amicizie perdute o nate: un gioco (o giogo) quotidiano."

Ecco, questa situazione sta diventando vieppiù frustrante e sta iniziando seriamente a pregiudicare la mia qualità della vita. Tra le altre cose, ho disturbi del sonno, che per uno come me che diceva "Vabbé, buonanotte" e in trenta secondi era nel regno di Morfeo, che non si svegliava MAI, che dopo quattro-cinque ore di nanna era nuova di pacca sono una roba inconcepibile (e infatti non ci crede nessuno).

Senza sconfinare nel francescanesimo o nell'hippismo QUEL tipo di rapporti umani, QUEL tipo di relazioni sociali, QUELLE amicizie sono il metro di paragone con cui giudico, misuro e valuto la qualità della mia vita. Qualche amicizia me la sono fatta anche qua, tante conoscenze me le sono fatte anche qua ma in termini umani, veramente umani, qualitativi?, è come paragonare un bicchiere d'acqua ad un oceano. E a me del conoscere gente tanto per conoscerla, restando sulla superficie del rapporto oppure, peggio ancora, perché un domani potrei trarne un vantaggio non me ne frega proprio una sega.

- Mi chiedo se il problema non sia dentro di me, poi però mi ricordo che nella vita precedente, perché sembra veramente una vita precedente, ero consapevole e lo dicevo, forse l'ho scritto anche qui, di essere "fortunato".

- M'interrogo sul fatto se quello che mi pesa non sia che là ero il Re e qua solo uno dei tanti. Mi rispondo che non è vero che là ero il Re, però ero circondato da persone a cui volevo e che mi volevano, con diverse sfumature, sinceramente bene. Che stimavo e mi stimavano. Che aiutavano e mi aiutavano. Qui quando non sono sconosciuti, sono persone che vedrei bene mentre le grattano via dall'asfalto dopo che sono state arrotate da un autotreno.

- Io, che venivo "accusato" di non incazzarmi mai abbastanza, se non in quelle quattro/cinque occasioni che bastavano per il resto dell'anno, mi accorgo di essere sempre sul filo della sbroccata. Basta qualsiasi piccolo inconveniente - dalla connessione che salta a qualcuno che mi sfiora - per farmi esplodere. Peggio ancora, alle volte faccio apposta a crearlo, solo per sfogarmi. Ci sono dei giorni che mi sto sul cazzo da solo per quanto sono irritante.

- Ne parlo con altri e tutti, indistintamente, mi dicono che "questa esperienza ti rafforzerà" ma io ho in mente altri tipi di rafforzamento. Penso di essere abbastanza predisposto, nei limiti dell'esistenza di un giovane uomo occidentale, ai sacrifici, ai dolori, in generale alle difficoltà. Non mi spaventano ed è vero che affrontandoli mi sono rafforzato. Ma se per rafforzarmi sotto il versante degli affetti, debbo perdere tutta quella sensibilità che penso di avere o di avere avuto e diventare uno dei tanti stronzi GordonGekkoWannabe ne faccio volentieri a meno. Molto volentieri a meno.

- Quel discorso sulle radici che ciclicamente scrivo posso anche fingere di non essermelo fatto, posso anche cercare di allontanarlo ma poi, basta un attimo di deconcentrazione, ed eccolo ricicciare. Forse è tutto qua.

Sono le serate di giornate dure, senza consolazioni.

mercoledì 14 maggio 2014

Palla di lardo


                                          

Sala relax (relax...) dell'impianto. Un computer per chi non ha il notebook, due grandi tavoloni, dove collegarsi ad internet oppure leggere i quotidiani e le riviste delle tre nazioni "estere" che affollano questo luogo di disperazione. Nell'impianto ci sono due neri (su 256 persone), entrambi italiani per matrimonio. Uno di questi, Jean-Aimé, quando prende possesso del computer non lo smolla manco se gli altri iniziano a sparare. Ieri ad un suo collega è scesa la catena e ha iniziato ad incazzarsi. Ecco, diciamo che stante i fisici dei due era dai tempi di King Kong contro Godzilla che non si vedeva una scena del genere. Roba che se fossero arrivati alle mani, toccava attivare le procedure anti-incendio, data la quantità di energia cinetica che avrebbero generato. Il guardiano della sicurezza interna, che invece è più simile ad un barattolo di Nutella ma di quelli piccoli, si prende, come dire, un filo (marrone) di paura e chiama la Jandarma (polizia turca).

Quando i solerti tutori dell'ordine arrivano, Jean-Aimé è andato a dormire e l'altro ha iniziato il turno. Aprono la porta come i Navy Seals irruppero nel covo di Bin Laden, urlando (relax...) in turco. Alzo la testa e abbasso i maroni, pensando "finiscono di rompere i coglioni quelli dentro e arrivano quelli fuori" quando questi partono a passo spedito, mi superano e vanno nell'altro tavolone che io non vedevo perché tra i due c'è l'emeroteca, e ricominciano ad urlare in turco. Mi alzo ed ecco che come nei migliori B-Movie sono riusciti a beccare l'unico altro nero dell'impianto. Rido. Mi guardano malissimo in quattro. Mathieu, il guardiano e i due poliziotti. Gli chiedo se sanno l'inglese, annuiscono, gli spiego che lui non c'entra niente e che è l'altro ad aver questionato, gli racconto come sono andati i fatti e che comunque è tutto a posto, loro guardano malissimo il guardiano (il mio mezzo dollaro bucato sul fatto che lui gli abbia detto che si stavano pigliando a noci), si scusano (!!!) e se ne vanno insieme al guardiano. Guardo Mathieu, gli sorrido, mi chiede perché sono andati a prendere proprio lui. Penso "Vabbé, ma allora non hai capito proprio un cazzo" ma coll'ultima stilla di umanità che questo gulag mi ha concesso, gli dico: "Ti hanno confuso con Jean-Aimé che è nero come te" - "Ehi, non siamo tutti uguali solo perché siamo neri. Perché devi essere raSSista?"

Ormai da Palla di Lardo mi separa solo il soprannome. C'è solo da capire chi sarà il mio Joker.


Aggiornamento delle 13.51

Vado al cesso, ce n'è lì uno a lavarsi le mani, entro in uno scompartimento, non faccio in tempo ad abbassare la zip che..."La poooooorta!". Il giovin signore, probabilmente digiuno di spogliatoi, campeggi, varie ed eventuali s'irritava molto perché girato di spalle e in un cesso per soli uomini non ho chiuso la porta. Ignoro cosa potesse vedere e se anche avesse potuto vedere cosa sarebbe successo. Ecco, lui potrebbe essere il mio Joker.

venerdì 9 maggio 2014

Mi raccomando



Aeroporto capitolino. Sala d'aspetto della pista di decollo per gli aerei privati.

"Comunque Vale, tienimelo d'occhio perché è un mese che va avanti a parlarmi di un'ingegnerA spagnola..."
"...basca, te l'ho già detto mille volte. Basca. Padre di San Sebastian e madre di Ustaritz..."
"...sgrunt..."
"...quindi tecnicamente franco-spagnola. Ma comunque basca. Puta Espana y puta Madrid"
"Finito di rompere il cazzo?"
"Precisavo"
"Beh comunque, c'è 'sta cazzo di ingegnerA"
"Sì, beh, non parlarne così che sai com'è...saremmo circondati da miei colleghi"
"Alooooooora, c'è 'sta ingegnerA che dopo che me ne ha parlato per un mese, l'altro giorno me l'ha fatta vedere"
"Sì, ma guarda che la conosce anche lei"
"Eh, se l'hai vista anche te" - pausa - "dimmE se nun è una di quelle mezzefighe che je piacciono a lui" - "Secca che quanno fa la doccia deve sta' attenta a centra' li schizzi, bianca che co' 'na candela je fai la radiografia..."
"...ehi, non permetterti, bruta..."
"...e le caviglie ne vogliamo parla'? Pare che se spezzeno ad ogni passo. E anche come se veste, ma come se veste??? Daje Fili', sembra 'na tossica. 'N po' de buongusto, almeno quello"
"...diafana, meravigliosamente diafana" dico con (studiato) sguardo sognante
"Vai avanti a fare il cretino. Capito Vale? Mi raccomando,,."

Ci giriamo verso la Vale che nel frattempo s'era appoggiata al muro e col tipico colorito porpora ci chiedeva il permesso per scoppiare a ridere per sempre.

Tra un'ora inizio il turno. Dei prossimi tre mesi.

P.S.
"Secca che quanno fa la doccia deve sta' attenta a centra' li schizzi" è l'alternativa a "Secca che quanno va al lago, e papere je butteno 'r pane"

mercoledì 7 maggio 2014

Tutto normale. Tutto assolutamente normale.



Io e la Vale alla macchinetta del caffé a parlare malissimo di tutti quelli che lavorano in "sto posto del cazzo" e di come la vita difficile e la natura matrigna ci costringano in "sto posto del cazzo". Arriva l'operatore. Indonesiano, se può interessare. Apre la macchinetta per svuotarla dalle monetine.

Problema

Testo

Le monete (5 baisa, 10 baisa, 25 baisa, 50 baisa) sono ovviamente mescolate. L'indonesiano reca in mano il contenitore delle monetine e un bagaglio con quattro cilindri cavi ognuno con un diametro corrispondente al diametro delle monete. L'operatore deve inserire le monete dello stesso valore racchiuse nel contenitore nel cilindro dal diametro corrispondente e il bagaglio dirà quante monete di ciascun valore esso contiene attraverso la scala graduata di ciascun cilindro cavo.

Dati

n monete da 5 baisa
n monete da 10 baisa
n monete da 25 baisa
n monete da 50 baisa
Bagaglio autocalcolante

Risolvo

Rovescio il contenitore delle monetine per terra, faccio andare le monetine ovunque: sotto la macchinetta, giù dalle scale, tra i piedi della coppia di inspiegabilmente costernati lavoratori al mio fianco, sotto la fotocopiatrice, financo nell'ufficio di fronte. Poi, con assoluta nonchalance, pulisco l'intera regione di Al-Sharqiyya colle ginocchia, probabilmente chiedo anche un lasciapassare orario all'Iran, mentre raccolgo monetine e le infilo nel bagaglio.

Risposta (della Vale)

"Filippo, perché quella faccia? Mi sembra normale che quando non bastano i nostri, li andiamo a prendere da fuori, per mantenere stabile il livello. Del resto ogni sistema tende all'equilibrio."

lunedì 5 maggio 2014

Proseguendo...



Quasi sempre le mail di lavoro tra tecnici sono scritte in un italiano spaventoso. Quasi sempre faccio finta di niente, fondamentalmente perché non me ne frega un cazzo e ho già abbastanza menate.

Oggi il più illetterato di tutti ha il coraggio di scrivere:

"Gli apostrofi non costano nulla. Adoperateli. Magari assieme al resto della punteggiatura; che aiuta a capire che cosa cazzo volete dire."

Poi la mail prosegue e tre righe sotto

"[...]chissà come mai nella 3C, le uniche che non vengono mai regolate siano le valvole di spurgo[...]"  

P.S.
Le due righe copincollate dalla mail (di lavoro, eh, non tra amici di vecchia data) fanno anche capire l'ambientino. Sempre per ricordarvi perché ogni tanto scapoccio.

mercoledì 30 aprile 2014

La sregolatezza pura che non ha a che fare col genio, non lo so, m'esalta (la voglia di uccidere)


La metto giù nel modo più semplice possibile: va rimodulata la disposizione dei pressostati perché alcuni confliggono dando origine a dei falsi positivi, con una parte dell'impianto che tra sirene ed allarmi pare un'operazione congiunta di Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Croce Rossa e Protezione Civile. Per dirla in endecasillabi sciolti, gli ingegneri se ne sciacquano i coglioni, la questione è tutta in capo a noi tecnici. Un miserabile coglione senza consultare nessuno durante un turno, anziché fare il suo lavoro (ma questa è un'altra storia, e indovinate chi era il tecnico del turno successivo, indovinate, £$%&^"=/?"£$?!=?=?§=/&), prende l'anima di Giovanni Muciaccia, dell'allegro chirurgo e di Barbara Gulienetti, inizia a scambiare tutti i pressostati e li monta, come dire, completamente a cazzo. Non solo: toglie quelli che nel progetto sono noti come "milestone" perché, ci spiegherà in seguito, "erano quelli che suonavano sempre". Ora, io adesso vorrei calmarmi e per cui prima di proseguire mi faccio un panino con farina di benzodiazepine. Dannato coglione, se il pressostato si chiama "milestone" un motivo ci sarà. Ora, ammettiamo anche che il tuo inglese sia quello che sia e cioè quella porcheria che parli, ma "Eight MILE" non l'hai mai visto? Non hai mai ascoltato un pezzo dei Rolling STONEs?

Briefing - "riunione" in questa Milano sul Golfo non fa immagine - in cui TUTTI (compresa gente per cui derogo al "Bisogna combattere senza odiare..." perché ho come unico sogno quello di fargli vedere le margherite dalla parte delle radici) sapevano che la coglionata era stata fatta dal coglione ma nessuno parlava. Al che, salutato come un delegato comunista che fa una critica a Stalin durante un congresso del PCUS, prendo la parola e gli dico: "Giacomo, incrociando i turni, puoi averlo fatto solo tu" - "Eh" - "E peraltro adesso mi spiego perché quel giorno non venivo ad una coi dati della 2A" - "Sìsì, sono stato io" - "Comunque non siamo qui a processare nessuno, veniamoci incontro e vediamo di risolvere la situazione". Questo miserabile coglione, probabilmente sorpreso dal fatto che la questione si fosse chiusa in così poco tempo senza spargimenti di sangue, e vi posso garantire che coll'odio e il disprezzo che serpeggia trattasi di risultato mirabolante, cala l'asso di spade: "Ehhhhhhh, l'ho fatto io perché qui se no non fa mai niente nessuno. E non solo: se qualcuno fa qualcosa, viene pure criticato, come state facendo con me adesso", tutto questo alzando progressivamente il tono della voce. "Ma no, guarda, nessuno ti sta criticando" - dentro di me sognavo che irrompesse un elefante, lo prendesse con la proboscide e lo sparasse su Plutone. Doveva rimanere vivo per tutto il viaggio e poi morire atterrando di faccia - "però tu capisci che se lo avessimo saputo tutti non saremmo diventati matti per giorni. Ma comunque non è un problema, ora lo sappiamo, ci mettiamo d'accordo un attimo, mettiamo giù una rivisitazione di massima e poi magari già domani cambiamo la disposizione. Vengo qui io, faccio anche due ore di straordinari, lo sai che non è un problema" - "Eh no, è che qui se uno prova a dare una mano, viene trattato così, come state facendo con me adesso. Lasciata così sarebbe andato tutto in malora" - "Ma dai, non esagerare. Guarda, non è vero, la riunione si sarebbe dovuta tenere nel giro di qualche giorno, lo sapevi" - "Qui si fa un gran parlare ma poi non si decide mai niente" - "Vabbé". A quel punto finisce il briefing ed inizia il mercato: 18 persone con gruppetti di 2-3 persone a parlare tra loro. E a me 'sta cosa fa enormemente girare i coglioni. Un giramento di coglioni che si aggiungeva a quello precedente. Risultato: i pressostati sono tuttora disposti così e chissà per quanto lo rimarranno.

Le aree dell'impianto che fanno riferimento all'area di preraffreddamento e raffreddamento hanno bisogno nei mesi più caldi (maggio, giugno, luglio, agosto) di una manutenzione ordinaria ulteriore. L'anno scorso, ma i tecnici con più anzianità mi hanno detto che è sempre stato così, i tecnici più ansiosi zaccagnavano i maroni per farla anche ad aprile (media del mese: 33°C). Decidiamo di fare un sondaggio: tutti dicono no, compresa la fazione - perché siamo a questi livelli, amici miei, ci sono le fazioni - ansiosa. Il secondo punto all'ordine del giorno prevedeva come rapportarsi alla manutenzione ordinaria nei prossimi quattro mesi. "Alt, prima di parlare di COME" - il COME è stato sottolineato con un improvviso aumento del tono della voce - "chiediamoci PERCHE'" - il PERCHE' è stato sottolineato con un improvviso aumento del tono della voce - "non è stato fatta la manutenzione ad aprile". Io non riesco a stare zitto, non ce la faccio. "Bruno ma se nel sondaggio hai votato pure tu "NO"... dai su, ma cos'è, uno scherzo?" - "Io non ho votato NO al sondaggio, ho votato NO alla richiesta di referendum" - REFERENDUM, amici miei - "perché la decisione non andava presa a maggioranza! Andava messa in atto, senza chiedere permessi". Qui ho proprio visto nero. Nel senso che come quando ci si ubriacava (bei tempi, altro che referendum) ho dovuto farmi raccontare dal grande Mattia cos'è successo dopo. "Hai fatto una faccia indescrivibile girandoti verso di me, come a dire: "Ma dove cazzo sono capitato?" e poi hai detto "No, vabbé, io non parlo più. Ma che senso ha parlare?". Ed in effetti...

Il peggio, se esiste un solo peggio, in tutto questo è che su 18 persone, in 12 hanno paura di parlare e per cui alla fine ti danno ragione in privato ma non prendono parola in pubblico se non per accodarsi e che quelli che prendono la parola sono coglioni come quelli di cui sopra. Lavoro con questa gente qui otto ore al giorno quando non sono dieci o dodici, cinque giorni alla settimana quando non sono sei, duecentrotrenta giorni all'anno. Le loro cazzate, negligenze, malattie mentali diventano le mie. Adesso qualcunO e qualcunA capisce perché tre mesi fa ho scapocciato.

giovedì 24 aprile 2014

Il laureato, la boxe e altra roba


Due settimane fa tornai. Da una settimana i miei stazionano a casa. Stanno qui da ponte (pasquale) a ponte (primo maggio). Quindi Smilzo se vuoi aggregarti alla compagnia, fai pure. Così puoi passare le ore in cui io lavoro, con mammà a sciogliere inni a Zio VoLODYa e a parlare male di tutti gli altri. Quando pensavo alla convivenza Ella-mammà volevo morire. Speravo in una timpanosclerosi della prima e in una paralisi bilaterale dei muscoli fonatori per la seconda. Temporanee, eh. Invece le due si stanno ben comportando.

Poi, per non farsi mancare niente, in un giorno a caso tra l'8 e il 10 di maggio, parto per la Turchia. Siccome fare una trasferta "tranquilla" non fa immagine, saremo sì in Turchia ma su una condotta che attraversa il Mar Nero. Insomma, come dire, noi alla mattina ci affacceremo dalla finestra del container e vedremo...la Crimea. Permanenza in questo ameno posto dove però (però, capite, però) potete fare il bagno (cit.)? A discrezione del management (cit.). Quando sento la parola management, che è sempre sempre sempre preceduta o seguita da una minchiata, mi sento come Mastroianni-Prof.Sinigaglia ne "I compagni".

Venerdì scorso festa di laurea di Abdi, neo-dottore in Ingegneria Chimica (mica cotica). Una festa di laurea col tipico low-profile del Golfo. Anche il regalino è stato low-profile: Ella esclusa, non ho MAI speso così tanto per un regalo. Il bello (bello? La merda vera, altro che bello) è che se non ci fossero stati i buoni uffici di mio babbo, avrei speso il doppio (del troppo) che ho speso. Perché no, non funziona che "X, capisci che lui ha certe disponibilità, non è come voi" - "Basta il pensiero" e tutte queste mollezze occidentali. No, qui l'importanza che assume per te l'altra persona si misura in riyal. Al più, in dollari. Quando però, appena arrivato alla festa, ho visto cinque agnelli che pascolavano su cinque girarrosti mi sono dimenticato di quanto mi sia costata la mia amicizia con Abdi e da lì in poi l'unico scopo della serata è stato come trovare la via più breve per incularsene uno (nel senso di furto), trovare un angolino e finire la mia esistenza mangiandomelo tutto, zoccoli compresi. Non è andata così ma ho perso tutta la mia dignità, mangiandone praticamente uno intero pur senza angolino e senza termine dell'esistenza. Non c'era alcol (evvabbé) e neanche fumo (su questo ho i miei dubbi e la cosa mi fa molto girare i coglioni a ripensarci, quindi fingiamo che non mi sia accorto) ma quando ho fatto partire il coro "Dottore, dottore, ecc" sono stato comunque seguito da un buon numero di presenti che hanno quantomeno intonato l'aria.

Il corso di boxe prosegue, l'allenatore rompe il cazzo per farmi partecipare alle competizioni ufficiali. "Pesi Welter", dice lui. Io gli rispondo "Veltroni?" Lui non capisce. Io rido molto. Lui s'incazza. Ci ripenso. Gli dico che "Sì, mi sento pronto". Poi parlo con il mio vicino di panchina negli spogliatoi. Mi dice che lui a novembre al primo incontro è stato sorteggiato col campione regionale e al primo jab il naso ha deciso di traslocare sulla nuca. Io mi fingo morto.

Il corso di tedesco, tra amore, anarchia e tanti, tanti ma tanti cuori uncinati ché, vorrei ricordarvi, "non capisci un cazzo, è tedesca, facciamo colpo" va sempre meglio. Ieri figheggiavo con mammà iniziando un discorso in inglese, proseguendolo in italiano, chiudendolo in tedesco e salutando in arabo. Roba che non era così orgogliosa da me da quando le dissi che mi ero lasciato colla mia ex-morosa, non sapendo che con quella dopo mi sarei addirittura sposato.

Non c'è un cazzo di locale ma dato che, come diceva NickMakkia69, "dove c'è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà" sono riuscito a crearmi un discreto giro ed è finito il periodo Filmissimi di Rete4. Anzi, tra un po' dovrò comprarmi un'agenda per gestire questa "LucignoloBellaVita" way of life.