mercoledì 18 giugno 2014

Pena di morte (p)e(r) le gattare



Il coordinatore dei tecnici di un'altra delle linee dell'impianto è, incredibile a dirsi, un coglione di quelli che bisogna impegnarsi per scovarne uno così. Non tanto nel suo lavoro in cui mi dicono essere competente ma per quanto è banale, volgare e tutti gli aggettivi peggiori dell'universo ogni volta che apre bocca in mensa. Me lo suco per ventuno pasti alla settimana perché abbiamo lo stesso orario di frequentazione della mensa e questa massa di imbelli è elastica sul perdere migliaia di euro all'ora perché non chiude una valvola ma sulle cose importanti, tipo i turni della mensa, non ammette deroghe: per mangiare in un orario diverso da quello assegnatoti devi rivolgerti alla FAO. Ovviamente non posso mangiare colle cuffie, come sarebbe giusto e normale, perché, nonostante questo gulag, l'ultimo barlume di educazione mi è rimasto incagliato nel carattere. Non so quanto tempo ci metterà a disincagliarsi ma potrebbe essere questione di secondi.

Sta di fatto che qualsiasi argomento approccia sai già che la conclusione che ne trarrà sarà sempre la più banale. Che si parli di calcio, politica, costume. E a me la banalità, facente spesso il paio coll'ineleganza, che non è la giacca e la cravatta o il tailleur e lo stiletto, ma come uno pensa e agisce. Solitamente parla (con altri, io non gli rivolgo la parola, però il tavolo è quello e quindi...) di argomenti tipo Balotelli, gli stipendi dei parlamentari oppure la Minetti. L'altro giorno discettava di quello che era successo a Motta Visconti. Attacca colla tiritera sulla pena di morte. Io sto zitto, come sempre, tanto non ne vale la pena. Finisce un discorso che avrebbe fatto impallidire un unno - che probabilmente lui pensa essere un numero scritto in modo errato - mi guarda e dice: "O sbaglio?". Finisco di mangiare la polpetta di gomma che l'ottimo servizio mensa ci fornisce e gli rispondo: "Sbagli. Per me, sbagli" - "Perché?" - Siccome un po' stronzo so esserlo anch'io e la risposta me l'ero preparata da qualche minuto "Perché l'abbandono della pratica della pena di morte è uno dei pochissimi lasciti che apprezzo dell'illuminismo".

Alla parola illuminismo è andato in crisi, probabilmente deve anche averla confusa con comunismo - la sua evoluzione politica è andata da B a Grillo - ed ha riattaccato con un'altra bella, e anche qui non banale, tirata sui comunisti buonisti pacifisti (e tutti gli altri -isti), che si conclude colla seguente domanda: "E se capitasse a tua moglie?" (probabilmente l'illuminismo gli ha cortocircuitato il cervello perché non ha capito che se capitasse a mia moglie, l'assassino sarei io) - "Risponderei colle parole di quel politico americano, non ricordo se senatore o governatore, che disse: "Vorrei che la giustizia fosse più lucida di un marito a cui ammazzano la moglie o di un padre a cui ammazzano i figli" - "Sìsì, tanto non gliela daranno mai" - come se fosse prevista dall'ordinamento. Ah, i nipotini della patria del diritto - "Stai sereno, daranno ragione a quelli come te" - "E meno male, altrimenti vivremmo, nel migliore dei casi, quello americano, in una società in cui il padre insegna ai cinni a sparare a cinque anni e secca il nonno che piscia dietro la siepe". Lo vedo frastornato. Non si perde d'animo "Tanto poi ci pensa la giustizia del carcere. Ahhhhhh, lì dentro per chi tocca le donne e i bambini  c'è una giustizia interna".

Questo è uno dei discorsi che mi fa più incazzare in assoluto. Sono anche pronto a discutere sulla pena di morte - mammà ad esempio è favorevole, quindi è stato un argomento ricorrente nella mia formazione - perché alla fine rientra nel solco della giustizia di uno Stato, ma su 'sta ciclopica cazzata della giustizia interna al carcere, vado ai matti, perché QUALSIASI cosa al di fuori delle regole che uno Stato si è dato, QUALSIASI cosa al di fuori del contratto sociale che uno Stato ha stabilito coi suoi cittadini è un abuso e uno Stato che chiude gli occhi su un abuso è uno Stato debole.

Infatti se sulla pena di morte FUI abbastanza calmo nell'esposizione, qui mi SI CHIUSE la vena e l'eloquio DIVENNE torrenziale.

"Certo, che dimostra semmai la debolezza di uno Stato che si affida ad altri assassini oppure a galantuomini come gli stupratori per ristabilire una giustizia che lui non è in grado di attuare. Assassini dimenticati che quindi diventano giustizieri a cui appellarsi, lo stesso compito che si vorrà assegnare a quel maiale tra qualche anno, quando sarà stato dimenticato da tutti e un nuovo maiale massacrerà la moglie e i figli. E uno Stato debole non è che è debole a compartimenti stagni: è debole in toto. Nel non punire adeguatamente corrotti e corruttori, nel calare le braghe al primo scioperello, eccetera eccetera. E chi arriva in uno Stato debole ed è forte perché le esperienze della vita l'hanno segnato, si adegua rapidamente a trarne il maggior vantaggio col minimo sforzo, fottendosene di ogni regola e da un certo punto di vista è più comprensibile il suo atteggiamento, visto che non ha radici in quel territorio, rispetto a quelli di chi lo abita da millenni. Uno stato forte invece è forte in tutti i settori. Punisce TUTTI duramente ma senza vendette e anzi cercando di rieducare, ha precisi indirizzi economici e non basta una corporazione del cazzo per iniziare a concertare anche sulle virgole e i sospiri e accoglie, perché sa che le migrazioni sono un fenomeno storico e non politico, discriminando solo sulla base delle infrazioni alla legge".

Ha iniziato a perdere sangue dal naso e ha capitolato con un: "Certo che sei ben strano" (io, eh, non lui). Insomma, sono bastate tre frasette da tema di terza liceo per mandarlo in crisi. In altri tempi mi sarei sentito pure una merda per quella roba del "Ti piace vincere facile", oggi no. Pietà l'è morta. E da quel dì. Questo sa anche lavorare, pensate a quelli che lavorano col culo e ragionano con lo stesso quale bel clima riescono a creare e poi capire perché la mozione "Palla di Lardo" vede crescere il numero dei suoi delegati tra i neuroni che affollano la mia testolina.

Fortuna che anche in questo impianto ho scoperto esserci delle palle di pelo, pulci e zecche (questi però le hanno veramente, non come la Viziata) e l'altro giorno mentre passeggiavo con la Vale dicendole di quanto questo posto mi faccia orrore: "E' tutto una merda, tutta una mer..." ad un certo punto salta fuori una roba che più lercia non si può ma con quattro zampe, due orecchie, due occhi neri e un muso lungo. Il sottoscritto passa dallo stato solido allo stato liquido: "Ciaaaaaaaooooooo bello" e poi una serie di frasi irripetibili tipo "Lalalalalala" - "Dimmi un po' da dove spunti?" - "Eh, cucciolo, da dove vieni fuori?" - "Ma bello lui".
Dopo tre minuti di catatonia ipercinetica, la Vale mi fa: "Beh, bello, diciamo...un tipo". Dopo altri per me brevissimi e per lei infiniti minuti "Carissimo, tra mezzora iniziamo il turno, sarà il caso di andarci a vestire, no?" - "Eh sì, un attimo" - "Peggio delle gattare, peggio delle gattare. E non è la prima volta".


mercoledì 11 giugno 2014

Mai schiavi di Roma

 
Domani iniziano i Mondiali. Tra russi, neerlandesi e italiani si stanno organizzando i gruppi d'ascolto. Io vorrei morire. Ancora più che negli altri giorni. Tra le differenti nazionalità si fanno già quelle simpatiche gag, note come sfottò, che non tollero in contesti amichevoli (Io seguo il calcio per una marea di motivi, ma non vado per divertirmi, scriveva Nick Hornby nel suo immortale "Febbre a 90°"), figuriamoci in 'sto posto di merda. Spero che l'Italia non segni neanche un goal perché alla sola idea di abbracciare uno qualunque di questi stronzi mi viene voglia di contrarre il bacillo della peste per contagiarlo. L'unica cosa che mi consola del non essere in Italia è che non dovrò spiegare alla solita massa di imbecilli "mai schiavi di Roma" che non è l'Italia ma la Vittoria ad essere schiava di Roma, come si evince dal verso le porga la chioma, perché alle schiave romane venivano tagliati i capelli per defemminilizzarle e distinguerle dalle donne romane libere che infatti venivano chiamate in capillo. Fatelo voi per me, ve ne prego: non servirà a niente, tra tre mesi lo ripeteranno ancora, però è comunque una buona azione e verrete ricompensati nel Regno dei Cieli.

Che poi...

Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
che schiava di Roma,
Iddio la creò

aldilà di ogni parafrasi, come può una trasmissione di sinapsi processare l'informazione che è l'Italia ad essere schiava di Roma è un mistero doloroso per me e gaudioso per un neurologo.

P.S.
Però potrebbe aggirarsi anche per queste lande uno "mai schiavo di Roma". Per star sul sicuro, sabato notte mi armerò di un serramanico.

venerdì 6 giugno 2014

Se ne volevo una Normale andavo a Pisa



Quella volta che alla domanda "Che lavoro fa?" dicesti ai tuoi "Lo conosco da poco, lui dice l'idraulico ma debbo ancora approfondire la questione, perché non me la racconta giusta". Quando lo venni a scoprire, da tua madre, il giorno in cui le dicemmo che ci saremmo sposati, ti chiesi: "Perché, cosa pensavi che facessi?" mi sentii rispondere, con quella tua intonazione impassibile come solo un medico ad un congresso, con quella tua aria franca, forte, ferma e fiera, quella che riesci a estrinsecare anche, soprattutto, quando spari le peggio cazzate "Ero convinta spacciassi". Alla mia espressione (colpevolmente) sbigottita obiettasti "Vabbé, non fare quella faccia di cazzo, non ti conoscevo nemmeno". Tua madre rise molto, intimamente chiedendosi cosa aveva sbagliato in quei nove mesi. E io capii che se avesti avuto tutte le rotelle e tutte perfettamente funzionanti, non mi saresti piaciuta, figurati sposata.