venerdì 30 agosto 2013

Vacanze estive


In questo weekend che in Italia sarà quello del grande rientro...

La mia prima vacanza in assoluto la feci a Montecarlo (gente di un certo livello), avevo quattro mesi.

La prima vacanza lunga a Loano, Liguria. In casa di una che al 99% era una ex "graziosa" per citare un noto cantautore ligure. Con un fratello gaio che le viveva insieme. Loro stavano al primo piano, noi in quello che al 99% era stato il pied-à-terre. Insomma, la prima vacanza, anni uno, mesi tre, in un film di Almodovar. Come poteva crescere centrato? C'è da fare una necessaria premessa: mio babbo è quarant'anni che si gira il mondo, con la pausa da quando sono nato a quando ho avuto sedici anni. Per lui un'infinita quaresima. "Una delle poche cose che ti rinfaccerò sempre" - "Cosa?" - "Non potevi nascere di sedici anni?". Andare in vacanza a fare la fettina in spiaggia per lui era una tragedia. Quindi cercava di spendere il meno possibile. Fosse per lui avremmo anche potuto dormire in macchina per risparmiare un altro po' di soldi "spesi inutilmente". Mia mamma è l'esatto contrario. Lei in vacanza vuole comodità, zero spostamenti, gambe sotto il tavolo. Infatti ora che mio babbo ha ripreso a girare il mondo (torna domani dalla Mongolia), lei talvolta gli va insieme e talvolta no. Ricordare quella vacanza è il metodo giusto per farli litigare a venticinque anni di distanza con la stessa cazzimma di allora.

2002: prima vacanza da solo a Jesolo. Tenda e povertà da Haiti post-terremoto. Gli ultimi giorni, a quattrini e viveri strafiniti (ricordo che un giorno andammo avanti a Morositas, perché erano gli unici alimenti rimastici), rubammo anche dallo spaccio del campeggio. Mio babbo, lungimirante, mi regalò i biglietti del treno A/R, altrimenti a quest'ora sarei dalle parti di San Martino Buon Albergo collo zaino in spalla.

2003: un anno tribolato ma un'estate magnifica. Mia mamma mi spedì in Colorado tre mesi ad imparare l'inglese. La famiglia mi voleva veramente e sinceramente bene. Con la figlia coetanea ci fu (ovviamente, mi verrebbe da dire) un bel flirt e tanti pianti al momento dell'addio. La ricordo con molto affetto. Il loro problema è che erano talmente pantofolai e sedentari che in tre mesi non mi hanno mai portato a fare un giretto. Zero, niente. Per tre settimane, insieme ad Ashley, curai anche i figli e i cani dei loro vicini che erano andati in vacanza. Ridendo come poche altre volte nella mia vita.

2004: Lloret de Mar. Ne ho già parlato qui sopra. La classica vacanza per trovare sé stessi. In fondo ad una bottiglia.

2005: prima vacanza con una morosa, a Rodi. Fu un'occasione: sua nonna doveva andarci. Ebbe un infarto (una roba leggera, la nonna tuttora vive e lotta insieme a noi) e quindi le sconsigliarono qualsiasi spostamento di lì a qualche mese. Io e la morosa ci avventammo. Tutto molto bello. Ma probabilmente sarebbe stato molto bello anche se fossimo andati a Lenno dal tanto che ero cotto.

2006: Ibiza. Mollato con la morosa qualche settimana prima. Andai in vacanza con la Kikka. Vi dico solo che arrivammo sull'isola l'8 luglio. Per portarci avanti, il 9 luglio eravamo già marci alle due del pomeriggio. La Kikka entrò in un baretto chiedendo cinque litri di sangria. Il barista strabuzzò gli occhi. "Siamo in due" (per dire...). Il barista continuò a strabuzzare gli occhi. "Ah, cosa c'è, non ha una caraffa abbastanza grande? La trovo io" e svuotò un vaso sul pavimento. "La metta qui". La sera del Mondiale manco ci trovammo. Neanche la mattina dopo. E neanche il pomeriggio. Solo la sera del 10 ci ritrovammo in albergo. "Ah, sei qua?". Reciproco. Nel prosieguo della vacanza trovammo anche l'unico negozio di Ibiza senza la maglietta celebrativa dell'anno. "Ho solo due vecchie magliette di Ibiza '04" - "Ci dia quelle, cavron". Si vedeva che la Kikka studiava Lingue e letterature straniere...

2007: Sharm. Prima vacanza con la Zorza. Mi ruppi praticamente qualsiasi osso dei due avambracci un mese prima di andarci e il gesso il giorno prima di partire. Per i medici serviva almeno un altro mese. Le braccia ci sono tuttora. Giovani e forti.

2008: Penisola del Sinis, Sardegna. Casa colonica a 10 km di qualunque cosa. Una ventina di persone, molta droga (portata dal continente per paura di non trovarne laggiù, ahahahahahah). Le vacanze si svolgevano in questo modo: sveglia-colazione-mare-mercato del pesce-pranzo-pennica-mare-doccia-cena-chitarra&falò. Mai divertito tanto, la mia vacanza più bella.

2009: Ecuador e Galapagos. Un missionario mio amico mi dice che la sua congregazione sta cercando un idraulico italiano (le professionalità laggiù sono da chiodi) per degli interventi. E' disponibile a pagargli aereo, vitto e alloggio nella comunità. Una settimana a lavorare mentre la Zorza dava una mano coi cinni della comunità. Poi andammo alle Galapagos. Se l'estate 2003 mi aveva insegnato ad amare gli americani, questa mi fece capire perché sono molto odiati. Praticamente ogni turista americano si sentiva il Re delle isole. Fino a quello che, dopo che il ranger gli disse 77 volte di non oltrepassare un dato limite (sensato, visto che le Tartarughe sono molto delicate), lo fece. Il ranger, alto non più di 165 e pesante non più di 60 chili, lo sollevò di peso per il colletto dicendogli che lui era capace di uccidere una persona anche a mani nude. 

2010: Da Bucarest a Venezia in furgone riattato (T4), passando per la Transilvania. Quattro coppie. Una lavatrice trasportabile che non dimenticherò mai. Le donne dormivano nel furgone, gli uomini all'addiaccio nell'umidissima notte rumena. Sinceramente non so quante donne mi avrebbero seguito in una vacanza che era l'emblema di qualsiasi fastidio esistente in natura. Fu lì che iniziai a capire che Ella era qualcosa di più. Dietro solo a quello della Sardegna.

2011: Saranda, Albania. Dovevamo andare a Cuba tre settimane. L'I. (nota compagnia aerea il cui nome si rifà a nota penisola europea) fece un disastro coi biglietti. Poi dovetti fare un'infinita trasferta in Val Seriana. Totale: mi rimaneva solo una settimana e qualche spicciolo. Un amico albanese mi consigliò Saranda. Praticamente il meraviglioso mare del Salento ad un terzo del prezzo. Un rispetto dell'ambiente che al confronto noi siamo scandinavi.

L'anno scorso c'erano in ballo le milioni di menate del trasferimento, ci rifaremo tra un mesetto. "L'unica cosa che dobbiamo tenere conto, perché me l'hanno consigliata, è quella di non raggiungere Alice Springs in auto perché non ne vale la pena" - "In che senso?" - "Mah, chilometri e chilometri di nulla, caldo, sabbia. Se succede qualcosa ci mettono ore ad arrivare i soccorsi" - Occhi che brillano che si specchiano in occhi che brillano - "Andiamo ad Alice Springs in auto"

domenica 25 agosto 2013

Vedi cara, l'emozione non ha voce


Non è ostilità, è insofferenza. Ossia, cito, l'incapacità di sopportare pazientemente ciò che urta la nostra sensibilità e che contrasta con la nostra volontà.

E allora

si decide, di comune accordo, di non parlarsi. Perché le parole, me ne accorgo, ce ne accorgiamo, non servono a niente. "Certe frasi sono un niente che non serve più sentire". Le parole mistificano, distolgono, talvolta vendono. Più si affastellano le una sulle altre, più il loro significato viene meno. "Le parole sono importanti"? Sì, quando esprimono un concetto e confezionano un significato.

E per esprimerlo debbono essere poche, altrimenti lo annacquano, lo diluiscono e infine lo corrompono.

E allora

ci si parla lo stretto indispensabile, per questioni meramente tecniche, e per qualsiasi tema che possa vellicare un'emozione ci si affida alla scrittura. "L'emozione non ha voce", perché quello che la voce inutilmente aggiunge, la scrittura saggiamente toglie. Si leviga, si smussa, talvolta si taglia. Si arriva dritti al punto, il punto dove le parole vengono srotolate da chi scrive per avvolgere chi legge e non rimangono sospese a mezzaria alla ricerca degli occhi, della voce, del linguaggio del corpo, linguaggi con una loro dignità, che il nostro rapporto ha spesso nobilitato, ma solo quando non si mescolano con la parola. L'amalgama parole-occhi-voce-corpo mette insieme troppe cose e diventa la forma senza la sostanza, il superfluo senza l'essenziale, quello che vorremmo sentirci dire senza quello che l'altro vorrebbe dirci. Perché è tutto interpretabile, tirando da una parte e dall'altra, a seconda di quello che ci conviene, anche inconsciamente. Sopratutto inconsciamente. Le parole scritte invece sono lì. Immobili, scolpite, ferme. Non scorrono, rimangono.

E' una fase che prima o poi doveva capitare. E' capitata a tutti, anche, forse in particolar modo, in questi giorni di attesa. Servirà solo a rafforzare il rapporto, ne sono certo. Io, noi, non voglio distruggere 2500 giorni di piccoli mattoncini quotidiani e questo lo sappiamo entrambi. E non per la paura di gettare al vento sei anni ma perché quello che è stato costruito è troppo grande, troppo bello, troppo forte. Ha fondamenta troppo solide. Non è un gigante dai piedi da argilla.

E allora

Vedi cara, è difficile a spiegare,
è difficile parlare dei fantasmi di una mente.
Vedi cara, tutto quel che posso dire
è che cambio un po' ogni giorno, è che sono differente.
Vedi cara, certe volte sono in cielo
come un aquilone al vento che poi a terra ricadrà.
Vedi cara, è difficile a spiegare,

E tu, noi, hai capito in tempo che "è difficile spiegare", prima di arrivare "dietro a ciò che non sarà...". Perché noi ci siamo sempre capiti più con gli sguardi che con le parole, più con le emozioni che con i chiarimenti, più con la dirittura morale che con la comunanza d'idee. Se vogliamo toglierci l'ansia dell'infinito, se vogliamo che sia qualcosa di veramente speciale, se vogliamo che non sia solo uno stanco rito della mia, nostra, amata e odiata borghesia dobbiamo essere noi i primi ad essere speciali o quantomeno a provarci e a quel punto tutto sarà, dovrà essere, solo nostro. Anche se gli altri non capiranno. Io ho sbagliato per un verso e tu per un altro ma quando è "troppo bello, troppo grande, troppo forte" non serve recriminare, né chiedersi scusa. Anzi, l'imperfezione aumenta il valore della creazione. Basta solo correggersi, lo stiamo facendo.

E allora

stamattina a colazione mi trovo un biglietto: "Ieri ho letto una frase che a me non diceva nulla ma ti ho pensato perché è una di quelle che a te piacciono molto, gira" - Giro - "Il mio onore si chiama fedeltà" Sbianco (e non è semplice)
"Giò, ma lo sai di chi era il motto?"
"Cosa, la frase che ti ho scritto?"
"Eh"
"Delle SS"
"Cazzo, neanche ad impegnarmi ne faccio una giusta"

Silenzio

E si ride, di gusto e insieme, per la prima volta dopo venti giorni. Si ride talmente tanto che poi ci si asciuga le lacrime. Passerà. Non sarà facile, non affrettiamo i tempi, non pensiamo che basti la lacrimevole risata di stamane, ma passerà. Non può non passare.

E quando passerà risolveremo, o vedremo sotto un'altra luce, anche tutti gli altri problemi, che non sono niente rispetto a quello che ci lega, anche adesso, in questo momento che sarà pietra angolare per il futuro. Il nostro futuro.

E tutto questo serve solo a mettere nero su bianco i miei pensieri, per me e per chi legge e si è preoccupato - vi ringrazio - e a nient'altro. Perché quello che ho scritto ce lo siamo già detti. Con gli sguardi, le attenzioni e il linguaggio del corpo. Senza dirci una parola. Perché le emozioni, le sensazioni, i sentimenti hanno dignità in quanto tali e non vanno difficilmente spiegati.

E tu "hai capito già".

Sono le 3.30 e va benissimo così.


martedì 20 agosto 2013

Aggiornamento - Un messaggio di speranza

Non sto scrivendo perché per essere un periodo più di merda dovrei morire. Passerà. Forse. Inizio a dubitarne. Fine aggiornamento.