giovedì 14 febbraio 2013

Another brick in the balls

E' un post a metà tra la prima parte in cui v'è un mattone sui (vostri/e) maroni/ovaie e la seconda in cui l'anzidetto mattone si sposta sulle mie ghiandole lacrimali. Vi avviso, eh!

A me le feste piacciono. Perché danno un senso di comunità altrimenti smarrito. Odio il carrozzone costruitogli intorno, che è poi quello stesso carrozzone che ci ha fatto smarrire il senso di comunità, ma le feste in sé mi piacciono. Una coppia non è una comunità e trovo disperante che smarrisca il suo senso quotidiano, giornaliero mattoncino del grande disegno che la lega all'infinito togliendogli l'ansia dello stesso, per ritrovarlo a San Valentino. E' vero, una coppia si evolve, e anche noi l'abbiamo fatto, ma io, che pur sono un fottutissimo nostalgico (Su, compagni in forti schiere/marciam verso l'avvenire...ahahahah, scherzo), non cambierei mai il friccicorio di allora con la pienezza di oggi. Che non è tranquillità, parola che andrebbe arata a sale da ogni dizionario, ma quella cosa che mi fa sognare (è successo qualche notte fa) un cinno che mi chiede: "Babbo, mi porti al palaSSo?", facendomi passare una mattina in cui sorridevo, col sorriso dell'ebete, anche alle maniglie e agli stipiti. 

Ciao Pirata, possono essere passati 9 anni, 5036 km e una situazione in cui sarebbe meglio evitare, ma riesci ancora a farmi piangere come un vitello, quando ti rivedo mentre divori il Galibier sotto la pioggia o spiani l'Alpe d' Huez. Sei stato e rimarrai il più grande di tutti, perché avevi dentro quella cosa dei grandi del passato che nessuno dei moderni ha saputo replicare: sapevi far emozionare, sapevi far emozionare un popolo, sapevi far emozionare il tuo popolo. E uno così non muore mai. Al massimo trapassa, trascende, sublima, ma non muore.


Le emozioni più forti le ho provate lungo le strade, quando sentivo la gente che gridava così tanto "Pantani" che mi veniva il mal di testa.

Marco, perché vai così forte in salita?
Per abbreviare la mia agonia.

Dalle Alpi francesi solcate da una tempesta, si leva solenne, al di là delle nuvole della fantasia, un dio dello sport: si chiama Marco, il nome forte di un evangelista. È andato lassù, in una bugiarda giornata di luglio, a predicare sulle montagne il mistero eterno dell'uomo ai confini della più spietata fatica. Eccolo, con i rivoli di forza vitale che gli restano addosso, nel suo ultimo gemito soave. È finita. Lo straordinario miscuglio di gioia e sofferenza che agita la sua anima produce una sorta di trasfigurazione nel volto di Pantani. C'è un senso profondamente drammatico nel suo trionfo. Ne ho viste tante in quasi mezzo secolo di sport, ma l'abbraccio di Marco con quel traguardo che gli sta davanti e che gli cambia la maglia e la vita, è un'immagine baciata dall'eternità.

3 commenti:

  1. Non sono una gran appassionata di ciclismo, ma Pantani ha regalato grandi emozioni, un vero peccato quello che gli è successo.

    RispondiElimina
  2. Contento del fatto che sia passato il concetto che volevo esprimere. E' difficile dare una dimensione artistica al ciclismo, se non quella di "arte della fatica". Ecco, quell'arte lui la incarnava appieno, travalicando i confini della semplice pedivella.

    RispondiElimina
  3. Hai ragione. Parole più adatte non ci sono (applauso)
    Il ciclismo è uno sport che ho sempre apprezzato, sarà perchè mio papà è appassionato, perchè discendo dallo stesso ramo della prima campionessa italiana, poi il destino ha voluto che la mia dolce metà fosse di Novi Ligure...
    Insomma, qualcosina ne so, anche se non lo seguivo, ma ultimi anni ho proprio smesso di interessarmi, troppo schifo (doping).

    RispondiElimina